Mostro di Firenze: il Dna riscrive il primo delitto e riapre la “pista sarda”

Natalino Mele, il bambino scampato nel ’68 a Signa all’omicidio della madre e dell’amante, non è figlio di Stefano Mele, marito della vittima, ma di Giovanni Vinci, fratello maggiore di Francesco e Salvatore.

Firenze – Un colpo di scena riapre uno dei più grandi misteri della cronaca italiana: l’inchiesta sul Mostro di Firenze, il serial killer che tra il 1968 e il 1985 ha seminato il terrore in Toscana con otto duplici omicidi. Un accertamento genetico disposto dalla Procura di Firenze ha rivelato che Natalino Mele, il bambino di sei anni e mezzo scampato al primo delitto del 21 agosto 1968 a Signa, dove furono uccisi Barbara Locci e il suo amante Antonio Lo Bianco, non è figlio di Stefano Mele, il marito della vittima condannato per quell’omicidio. Il padre biologico di Natalino è Giovanni Vinci, fratello maggiore di Francesco e Salvatore Vinci, figure centrali della cosiddetta “pista sarda”.

La notizia getta nuova luce sul caso e solleva interrogativi su uno dei cold case più complessi della storia italiana. L’analisi del Dna, condotta dal genetista Ugo Ricci, noto per il suo contributo al caso Garlasco, ha stabilito che Giovanni Vinci, mai coinvolto direttamente nell’inchiesta, era l’amante di Barbara Locci e il padre biologico di Natalino. La scoperta è emersa confrontando il profilo genetico di Natalino, prelevato in segreto nel 2018 dai Carabinieri del ROS, con quello estratto dalla recente riesumazione del corpo di Francesco Vinci, morto nel 1993. La notifica della Procura è arrivata a Natalino, oggi 63enne, pochi giorni fa: “Quest’uomo non l’ho mai neanche conosciuto”, ha dichiarato, visibilmente scosso, a La Nazione.

L’intuizione investigativa risale al 2018, durante l’inchiesta su Giampiero Vigilanti, ex legionario di Prato indagato e poi archiviato. In quell’occasione, il ROS aveva prelevato il Dna di un figlio di Salvatore Vinci, che ha permesso di collegare il sardo a uno straccio con tracce di sangue e polvere da sparo, trovato nella sua abitazione dopo il delitto di Vicchio del 1984. Parallelamente, il Dna di Natalino ha aperto una nuova prospettiva sul delitto del 1968.

Il 21 agosto 1968, Barbara Locci e Antonio Lo Bianco furono uccisi a colpi di pistola calibro 22 nella loro auto a Signa, vicino Firenze. Natalino, presente nell’abitazione, fu risparmiato dall’assassino e ritrovato ore dopo, con i calzini inspiegabilmente puliti, a due chilometri di distanza, in una strada di campagna ciottolosa, dopo aver bussato a una casa per chiedere aiuto. Stefano Mele, marito di Locci, fu condannato per il duplice omicidio e per calunnia, dopo aver accusato i fratelli Vinci, amanti della moglie, senza prove concrete. L’arma del delitto, una Beretta calibro 22, non fu mai ritrovata, ma riapparve nei delitti successivi del Mostro, a partire da quello di Borgo San Lorenzo nel 1974.

La nuova scoperta solleva una domanda cruciale: l’assassino sapeva che Natalino era figlio di Giovanni Vinci? E, in caso affermativo, questo potrebbe spiegare perché il bambino fu risparmiato? Gli inquirenti si interrogano anche su come Natalino, in stato di shock e senza memoria di quella notte, abbia raggiunto la casa lontana in un contesto così impervio.

La “pista sarda” ha sempre ruotato attorno a Francesco e Salvatore Vinci, membri di un clan originario di Villacidro, noti per i loro legami con Barbara Locci. Francesco fu arrestato nel 1982 per il delitto del 1968, ma poi scagionato; Salvatore rimase a lungo sospettato, ma senza prove definitive. Giovanni Vinci, il fratello maggiore, non era mai stato coinvolto direttamente, ma la scoperta della sua paternità su Natalino lo colloca ora al centro del contesto relazionale della Locci, una donna che, secondo le indagini, intratteneva rapporti con più uomini del clan. Il ritrovamento dello straccio con tracce di sangue e polvere da sparo in casa di Salvatore Vinci, collegato al delitto di Vicchio, rafforza l’ipotesi che i fratelli fossero in qualche modo legati alla serie di omicidi. Tuttavia, la perdita di un altro reperto chiave, un panno con macchie di sangue, e l’assenza dell’arma del delitto continuano a ostacolare una ricostruzione definitiva.

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