Il delitto dell’Olgiata, 20 anni di misteri e silenzi

La morte della contessa Alberica Filo della Torre rimase un mistero per due decenni. Un caso da risolvere in pochi mesi se non ci fossero stati errori investigativi, prove ignorate e piste sbagliate.

Roma – Era il 10 luglio 1991, una calda mattina d’estate nella villa dell’Olgiata, zona residenziale a nord della Capitale. La contessa Alberica Filo della Torre, 42 anni, e suo marito Pietro Mattei, importante immobiliarista romano, si stavano preparando per una giornata speciale: quella sera avrebbero celebrato i loro dieci anni di matrimonio con un ricevimento.

La contessa con il marito e i figli

La villa era in fermento. Numerose persone erano impegnate negli allestimenti per la festa, mentre i due figli della coppia, Manfredi e Domitilla, 9 e 7 anni, erano in casa con la loro istitutrice. La contessa scese in cucina per fare colazione con i bambini, poi risalì nella sua stanza per prepararsi. Il marito era già uscito per andare al lavoro.

Furono la piccola Domitilla e una domestica a dare l’allarme. La bambina voleva un fermaglio per capelli che si trovava nella stanza della madre e bussò alla porta, chiamandola più volte, senza ricevere risposta. In quel momento, la contessa Alberica Filo della Torre era già morta.

La scena del crimine

Il corpo della donna fu trovato riverso sul pavimento della sua camera da letto, con un lenzuolo che le copriva il volto. L’autopsia rivelò che la vittima era stata prima colpita alla testa con un oggetto contundente (uno zoccolo), poi strangolata con una tecnica precisa, identificata come una mossa di kalì, arte marziale praticata nelle Filippine.

La villa dell’Olgiata

Non c’erano segni di colluttazione, elemento che fece subito ipotizzare che la vittima conoscesse il suo assassino e non avesse motivo di temerlo. Dalla stanza mancavano alcuni gioielli della contessa, suggerendo un movente legato al furto.

Quando il pubblico ministero Martellino arrivò sulla scena del crimine, trovò una situazione che non esitò a definire “compromessa”: troppe persone avevano avuto accesso alla stanza, compromettendo potenziali prove.

Le indagini: un labirinto di piste sbagliate

L’indagine iniziò passando al setaccio la vita della contessa ma non emerse nulla di sospetto. L’attenzione si spostò quindi sul marito Pietro Mattei, che però aveva un alibi di ferro: al momento del delitto non era in casa.

Gli investigatori si concentrarono sul personale di servizio presente in villa: le due domestiche filippine, Violeta Alpaga e Rupe Manuel, e soprattutto su un ex dipendente, Manuel Winston Reyes. La contessa aveva licenziato il tuttofare filippino dopo averlo sorpreso ubriaco più volte (dettaglio che si scoprirà poi), ma l’uomo sosteneva di non nutrire rancore verso la famiglia, avendo subito trovato un nuovo lavoro in una villa vicina a quella dell’Olgiata.

Il tuttofare Manuel Winston Reyes

Nell’estate del 1991, Winston ricevette il primo avviso di garanzia dell’indagine. I suoi vestiti furono sequestrati e analizzati: furono trovate tracce ematiche ma così piccole che la tecnologia dell’epoca non riuscì ad attribuirle con certezza alla vittima. Inoltre, l’autopsia indicava che l’assassino era destrimano, mentre Winston era mancino. Con queste premesse, il tuttofare fu scagionato e le indagini presero altre direzioni.

Spioni, tangenti e complotti

Il caso prese una piega sempre più intricata quando emerse il coinvolgimento di Michele Finocchi, amico di lunga data di Pietro Mattei e primo a chiamarlo la mattina del delitto per dirgli di tornare a casa. Finocchi, che tutti conoscevano come funzionario di polizia, si rivelò essere in realtà un agente dei servizi segreti, successivamente arrestato nel 1994 per lo scandalo dei fondi neri del Sisde.

Questo collegamento alimentò teorie cospirative e sospetti su Pietro Mattei, che furono ulteriormente rafforzati dalla scoperta di un conto in Svizzera (dal quale non emerse nulla di illegale) e dell’amicizia con un importante imprenditore cinese finito nel mirino degli inquirenti. Un’occasione ghiotta per i tessitori di narrazioni torbide e teorie alternative.

Per anni, il caso si perse in un labirinto di supposizioni e piste che non portavano da nessuna parte, mentre la verità restava nascosta in uno scatolone polveroso.

La svolta: le bobine dimenticate

Nel 2007, il caso fu riaperto su istanza di Pietro Mattei ma la vera svolta arrivò nel 2010, quando il fascicolo finì nelle mani della pm Francesca Loy. La magistrata scoprì immediatamente che le indagini precedenti avevano tralasciato elementi cruciali.

Maria Francesca Loy

In un deposito giudiziario, coperto di polvere, giaceva da 20 anni uno scatolone contenente 14 bobine di intercettazioni relative al delitto dell’Olgiata. I consulenti dell’epoca avevano deciso di utilizzarle “a campione”, ascoltandone solo una minima parte e, per questo, non avevano mai ascoltato né tradotto ben 9 bobine.

Il contenuto di quelle registrazioni avrebbe risolto il caso già nell’estate del 1991: contenevano le conversazioni di Winston con il suo ricettatore, registrate mentre trattava la vendita dei gioielli trafugati dalla stanza della contessa.

La tecnologia a servizio della verità

Nel frattempo, la tecnologia aveva fatto progressi decisivi. Nel 2010, gli esperti analizzarono quelle tracce ematiche che nel 1991 erano troppo piccole per essere esaminate con certezza e i risultati parlarono chiaro: rilevarono il DNA di Manuel Winston Reyes sullo zoccolo che aveva tramortito la contessa e sul lenzuolo.

Winston fu arrestato nel 2011. In tutto questo tempo aveva continuato a vivere a Roma, si era sposato e aveva avuto una figlia a cui aveva dato proprio il nome di Alberica, come la contessa che aveva ucciso.

La confessione e la condanna

Il 1° aprile 2011, esattamente 20 anni dopo il delitto, l’assassino dell’Olgiata confessò: “Voglio togliermi un peso dalla coscienza. Già altre volte avevo pensato di venire a parlare con i giudici di quello che è successo nella villa della contessa Alberica. Voglio dire che mi dispiace davvero. Avevo bisogno di lavorare e volevo che la contessa mi riassumesse”.

La contessa e il killer

Anche grazie alla sua confessione, arrivò la condanna a 16 anni di reclusione, dei quali ne scontò solo 10 per buona condotta. Nel 2021 tornò un uomo libero.

La fondazione Alberica Filo della Torre

L’epilogo cui si arrivò nelle aule del Tribunale indignò i familiari della contessa. Morto l’ingegner Mattei nel 2020, i due figli – quei bambini che una mattina d’estate videro la madre riversa senza vita sul pavimento della sua camera – portano avanti la Fondazione Alberica Filo della Torre.

La fondazione, costituita nel 2012 per iniziativa di Pietro Mattei, non nasce solo dalla volontà di ricordare la compianta contessa ma anche dall’estenuante battaglia per avere giustizia, durante la quale emersero dettagli sconcertanti sulle lacune e i pasticci (per usare un eufemismo) investigativi.

Manfredi, Pietro e Domitilla Mattei

Come si legge sul sito della fondazione: “I familiari della contessa sono rimasti sconvolti da questi aspetti inquietanti e sconcertanti delle indagini e hanno potuto superare tante avversità con la ferma determinazione di difendere la loro amata congiunta ma anche grazie ai risparmi di cui disponevano. Una volta scoperto e condannato l’assassino, il marito e i figli della contessa hanno dunque pensato di adoperarsi per tentare di aiutare le persone meno abbienti che avessero la sventura di trovarsi coinvolti in simili frangenti.

Il delitto dell’Olgiata rappresenta un caso emblematico di come errori investigativi, superficialità e mancanza di metodo possano permettere a un assassino di vivere libero per 20 anni. La soluzione era lì, nelle bobine mai ascoltate, nelle prove mai analizzate con la dovuta attenzione.

Una storia che ricorda come la giustizia, quando non funziona o funziona male, non colpisce solo i colpevoli che restano liberi ma anche le vittime e le loro famiglie, costrette a battaglie estenuanti per vedere riconosciuta la verità.

L’assassino della contessa Alberica Filo della Torre era il maggiordomo, come nei migliori gialli di Agatha Christie. Ma questa volta, la finzione si è trasformata in una tragica realtà che ha segnato per sempre la vita di una famiglia.

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