La Suprema Corte esclude la risarcibilità del danno reputazionale per gli scontri di Catania.
Roma – La Corte di Cassazione ha stabilito un importante principio in materia di danno all’immagine delle istituzioni pubbliche, accogliendo parzialmente il ricorso di Antonino Filippo Speziale – difeso dall’avvocato Giuseppe Lipera – nel caso legato all’omicidio dell’ispettore di polizia Filippo Raciti durante gli scontri fuori dallo stadio di Catania.
Con l’ordinanza n. 17913/2025, la Terza Sezione Civile della Suprema Corte ha chiarito che la mera divulgazione di immagini di episodi violenti non configura automaticamente un danno all’immagine dello Stato, stabilendo criteri più rigorosi per il riconoscimento di questa forma di risarcimento.
Il caso e le controversie sulla dinamica
La vicenda trae origine dai tragici scontri avvenuti il 2 febbraio 2007 davanti allo stadio Massimino di Catania, dopo la partita Catania-Palermo, durante i quali perse la vita l’ispettore di polizia Filippo Raciti. Secondo la ricostruzione dei tre gradi di giudizio, l’agente sarebbe stato colpito da un sotto-lavello di lamierino che gli avrebbe maciullato il fegato, provocandone la morte dopo un paio d’ore di agonia.

Tuttavia, su questa tesi sono stati espressi forti dubbi e in molti – non solo la famiglia, l’avvocato difensore Giuseppe Lipera ed altri esperti – avevano avanzato l’ipotesi del cosiddetto “fuoco amico”. Secondo questa teoria alternativa, l’ispettore Raciti sarebbe stato colpito dallo sportello sinistro o comunque dal mezzo di servizio che, in retromarcia, l’avrebbe urtato causandone poi la morte.
A riproporre l’innocenza di Speziale sono stati anche gli inviati de Le Iene di Italia 1 che hanno ricostruito gli eventi sottolineando le carenze investigative e le contraddizioni che l’inchiesta, eseguita dalla Procura di Catania, presentava sin dalle fasi iniziali.

Nonostante queste controversie sulla dinamica dei fatti, Speziale, all’epoca minorenne, fu condannato per omicidio preterintenzionale. In sede civile, sia la Presidenza del Consiglio dei Ministri che il Ministero dell’Interno avevano chiesto il risarcimento dei danni, incluso quello all’immagine.
Le decisioni di merito
Il Tribunale di Catania aveva inizialmente riconosciuto la responsabilità di Speziale, condannandolo al risarcimento anche nei confronti delle amministrazioni pubbliche. La Corte d’Appello di Catania aveva poi riformato parzialmente la decisione, escludendo i danni patrimoniali ma mantenendo il riconoscimento del danno non patrimoniale da lesione dell’immagine.
I principi stabiliti dalla Cassazione
La Suprema Corte ha rovesciato questo orientamento, stabilendo principi di portata generale per la configurazione del danno all’immagine delle istituzioni pubbliche.
Secondo i giudici di legittimità, la lesione della reputazione presuppone conseguenze dannose concrete, ovvero il discredito effettivo che il soggetto subisce presso i terzi. Non è sufficiente la mera divulgazione di immagini lesive ma occorre dimostrare che da tale divulgazione sia derivato un pregiudizio reale alla reputazione.
La Corte ha precisato che “non è affatto detto che la visione di tali immagini abbia comportato discredito o una idea negativa dello Stato italiano e della sua capacità di reprimere le violenze”. Per configurare il danno, sarebbe necessario dimostrare conseguenze specifiche come articoli di stampa estera che abbiano messo in cattiva luce lo Stato o proteste di cittadini che abbiano dubitato della sicurezza pubblica.

Il rigetto delle pretese patrimoniali
La Cassazione ha invece respinto il ricorso delle amministrazioni pubbliche relativo al danno patrimoniale per le indennità corrisposte ai familiari dell’agente ucciso, tra cui pensione di reversibilità, assegni previsti da leggi speciali e indennizzi per vittime di reati violenti.
I giudici hanno confermato il principio consolidato secondo cui tali elargizioni statali trovano la loro “occasione” e non la “causa” nell’illecito dannoso. La causa diretta di questi indennizzi deriva dal fatto che la morte è avvenuta durante il servizio, configurando il dipendente come “vittima del dovere”, indipendentemente dalle modalità concrete del decesso.
Le implicazioni della decisione
La sentenza segna un punto di svolta nella giurisprudenza sul danno all’immagine delle istituzioni pubbliche, innalzando significativamente l’asticella probatoria per questo tipo di risarcimenti.
Il principio stabilito dalla Cassazione richiede ora una dimostrazione concreta degli effetti negativi sulla reputazione, superando l’automatismo che in passato poteva collegare la divulgazione di episodi violenti al danno reputazionale delle istituzioni coinvolte.
Conseguenze processuali
La decisione ha quindi annullato la condanna di Speziale al risarcimento del danno all’immagine, rinviando la questione alla Corte d’Appello di Catania in diversa composizione per la rideterminazione anche delle spese processuali.
Il caso rappresenta un importante precedente per future controversie simili, stabilendo che la tutela dell’immagine delle istituzioni pubbliche non può prescindere dalla dimostrazione di un pregiudizio reale e verificabile, elevando gli standard probatori richiesti per questo tipo di risarcimenti.