Con 137 sì, 83 no e 2 astenuti, la Camera dà il via libera definitivo alla riforma sulla cittadinanza italiana.
Roma – Con 137 voti favorevoli, 83 contrari e 2 astenuti, la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il decreto sulla cittadinanza, introducendo significative modifiche alle attuali normative. Il provvedimento tocca punti cruciali come l’acquisizione della cittadinanza per discendenza, la gestione dei minori stranieri e apolidi e nuove quote per gli “oriundi” all’interno del decreto flussi.
Stretta sullo “ius sanguinis”: scatta il limite di due generazioni
La novità più rilevante riguarda la cittadinanza per “ius sanguinis” (diritto di sangue). Il decreto prevede una stretta sugli italo-discendenti nati all’estero: la cittadinanza italiana sarà riconosciuta automaticamente solo per due generazioni. In pratica, solo chi ha almeno un genitore o un nonno nato in Italia potrà essere cittadino italiano dalla nascita. È fondamentale che il genitore o il nonno in questione abbia avuto, o avesse – al momento della morte – “esclusivamente” la cittadinanza italiana o fosse residente in Italia da almeno due anni continuativi prima della nascita del figlio.

Il testo stabilisce che non acquista la cittadinanza italiana chi, nato all’estero, è contemporaneamente in possesso della cittadinanza di un altro Stato. Questa misura si applica anche a coloro che sono nati all’estero prima dell’entrata in vigore del decreto. Sono comunque previste alcune deroghe per chi ha già presentato domanda all’ufficio consolare o al sindaco entro il 27 marzo 2025, o ha ricevuto entro tale data una comunicazione di appuntamento.
Novità per minori stranieri o apolidi
Il decreto introduce nuove disposizioni per i minori stranieri o apolidi discendenti da padre o madre cittadini italiani per nascita. Questi minori potranno diventare cittadini italiani qualora i genitori o il tutore dichiarino la volontà di acquisire tale status. È però richiesto che, successivamente a tale dichiarazione, il minore risieda legalmente e continuativamente per almeno due anni nel nostro Paese.

La quota aggiuntiva per gli “oriundi”
Una modifica al decreto flussi consentirà l’ingresso e il soggiorno per lavoro subordinato, in aggiunta alle quote già previste, agli stranieri residenti all’estero che siano discendenti da un cittadino italiano e che siano in possesso della cittadinanza di uno Stato di destinazione di rilevanti flussi di emigrazione italiana. I Paesi in questione verranno specificati tramite un futuro decreto del ministro degli Esteri.
Riacquisto della cittadinanza con contributo
Un’altra novità introdotta con il decreto è la possibilità di riacquistare la cittadinanza italiana per coloro che siano nati in Italia o vi siano stati residenti per almeno due anni consecutivi e l’abbiano persa a seguito dell’acquisizione della cittadinanza di un altro Stato. Per usufruire di questa possibilità è previsto il versamento di un contributo di 250 euro.

Con l’approvazione definitiva alla Camera del decreto sulla cittadinanza, l’Italia sembra aver scelto di voltare le spalle a una parte significativa della propria storia e cultura: quella legata alla grande emigrazione e al forte legame con le comunità italo-discendenti sparse nel mondo. La stretta sullo “ius sanguinis” è il punto più critico. Limitare l’acquisizione automatica della cittadinanza a sole due generazioni significa, di fatto, recidere un legame culturale e genealogico che per decenni ha rappresentato un ponte tra il nostro Paese e milioni di persone oltre confine. Il rischio è quello di creare una “cittadinanza di serie B” per chi è nato all’estero e possiede già un’altra cittadinanza, dimenticando che la doppia cittadinanza è stata a lungo un fattore di ricchezza e non di debolezza. E la retroattività della norma, con la pur minima finestra di deroga, appare come un tentativo di legittimare una stretta che altrimenti sarebbe difficilmente digeribile.
Anche le “novità” per i minori stranieri o apolidi, pur presentandosi come un’apertura, prevedono requisiti di residenza continuativa in Italia per due anni che, per chi vive situazioni di fragilità o instabilità, possono rappresentare un ostacolo non facilmente valicabile.
La previsione di una “ulteriore quota” per gli oriundi nel decreto flussi appare quasi come una timida concessione che, tuttavia, non compensa la chiusura sullo “ius sanguinis”. Infine, la possibilità di riacquisto della cittadinanza per chi l’ha persa, con un contributo economico di 250 euro, seppur apparentemente positiva, sembra palesare una ratio puramente venale. Perdere la cittadinanza è spesso frutto di scelte o necessità legate al proprio percorso di vita e imporre un costo per il riacquisto sembra più un balzello che una reale volontà di riaccogliere.