Lo scrive Richard de la Tour nelle sue conclusioni sulle cause legate al protocollo Italia-Albania. La sentenza è attesa entro i primi di giugno.
L’avvocato generale della Corte di giustizia Ue Richard de la Tour interviene sul protocollo Italia-Albania e sulla definizione di Paese d’origine sicuro. Secondo de la Tour, uno Stato membro può designare paesi di origine sicuri mediante un atto legislativo ma deve divulgare, a fini di controllo giurisdizionale, le fonti d’informazione su cui si fonda tale designazione. Tale Stato membro può anche, a determinate condizioni, attribuire a un paese terzo lo status di paese di origine sicuro, individuando nel contempo categorie limitate di persone che potrebbero essere ivi esposte al rischio di persecuzioni o violazioni gravi. Conformemente alla direttiva 2013/32, gli Stati membri possono accelerare l’esame delle domande di protezione internazionale e condurre la procedura alla frontiera qualora tali domande provengano da cittadini di paesi che si ritiene offrano una protezione sufficiente. In Italia, la designazione di questi paesi terzi come paesi di origine sicuri avviene mediante un atto legislativo del 2024, scrive la Corte del Lussemburgo.
È in tale contesto che due cittadini del Bangladesh, trasferiti in un centro di permanenza temporanea in Albania in applicazione del protocollo Italia-Albania, hanno presentato una domanda di protezione internazionale. La loro richiesta è stata esaminata secondo la procedura accelerata alla frontiera dalle autorità italiane, che l’hanno respinta in quanto infondata, poiché il loro paese d’origine era considerato sicuro. I ricorrenti hanno impugnato la decisione di rigetto dinanzi al Tribunale ordinario di Roma, che si è rivolto alla Corte di giustizia per chiarire l’applicazione del concetto di paese di origine sicuro e gli obblighi degli Stati membri in materia di controllo giurisdizionale effettivo. Il giudice del rinvio sostiene che, contrariamente al regime precedente, l’atto legislativo del 2024 non precisa le fonti di informazione sulle quali il legislatore italiano si è basato per valutare la sicurezza del paese.

Pertanto, sia il richiedente sia l’autorità giudiziaria sarebbero privati della possibilità di contestare e, rispettivamente, controllare la legittimità di una siffatta presunzione di sicurezza, esaminando in particolare la provenienza, l’autorità, l’affidabilità, la pertinenza, l’attualità e l’esaustività di tali fonti. Nelle sue conclusioni, l’avvocato generale Jean Richard de la Tour conferma che uno Stato membro può designare un paese terzo come paese di origine sicuro mediante un atto legislativo. Tuttavia, il giudice nazionale chiamato a esaminare un ricorso avverso il rigetto di una domanda di protezione internazionale deve disporre, nell’ambito dell’esame sulla legittimità di tale atto, delle fonti di informazione che sono servite da base per tale designazione. Infatti, la mera circostanza che un paese terzo sia designato come paese di origine sicuro mediante un atto legislativo non può avere la conseguenza di sottrarlo ad un controllo di legittimità, salvo privare di qualsiasi efficacia pratica la direttiva.
L’atto legislativo applica il diritto dell’Unione e deve garantire il rispetto delle garanzie sostanziali e procedurali riconosciute ai richiedenti protezione internazionale dal diritto dell’Unione. In assenza di divulgazione di tali fonti di informazione da parte del legislatore, l’autorità giudiziaria competente può controllare la legittimità di una siffatta designazione sulla base di fonti di informazione da essa stessa raccolte tra quelle menzionate nella direttiva. Per quanto riguarda la possibilità di designare un paese terzo come paese di origine sicuro mentre non lo è per talune categorie di persone, l’avvocato generale Richard de la Tour ritiene che la direttiva non osti a che uno Stato membro attribuisca ad un paese terzo lo status di paese di origine sicuro, identificando nel contempo categorie limitate di persone che possono essere esposte, in tale paese, al rischio di persecuzioni o violazioni gravi.

Ciò è possibile solo qualora, da un lato, la situazione giuridica e politica di tale paese caratterizzi un regime democratico che garantisca alla popolazione in generale una protezione duratura contro tali rischi e, dall’altro, lo Stato membro interessato escluda espressamente tali categorie di persone dall’applicazione del concetto di paese di origine sicuro e dalla presunzione di sicurezza ad esso connessa. Le conclusioni dell’avvocato generale non vincolano la Corte di giustizia. Il compito dell’avvocato generale consiste nel proporre alla Corte, in piena indipendenza, una soluzione giuridica nella causa per la quale è stato designato. I giudici della Corte cominciano adesso a deliberare in questa causa. La sentenza sarà pronunciata tra fine maggio e inizio giugno.
“Con il Protocollo Italia – Albania stiamo esplorando nuove strade per la gestione del fenomeno migratorio”, ha detto il ministro Piantedosi. “Confidiamo nelle determinazioni a breve della Corte di Giustizia europea su questioni che, in verità, a noi sembrano già chiare. Ed intanto utilizzeremo le strutture albanesi come centri di permanenza per il rimpatrio di migranti già destinatari di provvedimento di espulsione. A brevissimo – ha aggiunto – è previsto il trasferimento dei primi 40 stranieri irregolari al fine del loro successivo allontanamento verso i Paesi di origine”.