Fabrizio Piscitelli era stato ucciso il 7 agosto 2019 mentre era seduto su una panchina al Parco degli Acquedotti. Sullo sfondo la guerra tra bande per conquistare il mercato della droga.
Roma – Raul Esteban Calderon, 56enne argentino, è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Fabrizio Piscitelli, alias “Diabolik”, freddato con un colpo alla nuca il 7 agosto 2019 mentre era seduto su una panchina al Parco degli Acquedotti. Il verdetto, pronunciato nell’aula bunker di Rebibbia, chiude – almeno per l’esecutore – un capitolo di una vicenda che ha segnato uno spartiacque nella malavita romana, lasciando però aperti interrogativi sui mandanti.
Calderon, arrestato nel dicembre 2021 dopo due anni di indagini condotte dalla DDA di Roma, si è sempre proclamato estraneo al delitto. Ma contro di lui pesano prove schiaccianti: un video di una telecamera privata che riprende un uomo travestito da runner avvicinarsi a Piscitelli e sparare, e la testimonianza dell’ex compagna, Rina Bussone, che ha fornito dettagli compromettenti. Per i giudici, quell’uomo è Calderon, un killer professionista già condannato all’ergastolo per l’omicidio di Selavdi Shehaj, avvenuto nel settembre 2020 a Torvaianica con modalità simili: un’esecuzione in pieno giorno, tra la folla, seguita da una fuga impeccabile.
La Procura lo considera un sicario di fiducia dell’organizzazione criminale guidata da Giuseppe Molisso e Leandro Bennato, narcos di spicco cresciuti all’ombra di Michele Senese, il boss campano che per decenni ha dettato legge nella Capitale. Sebbene non ci siano prove dirette che inchiodino Molisso e Bennato come mandanti dell’omicidio di Piscitelli, i loro nomi emergono con insistenza nelle carte investigative. Gli attriti tra Diabolik e i due, legati al controllo delle piazze di spaccio romane, sono noti, così come il fastidio di Senese – un tempo mentore di Piscitelli – per l’ascesa incontrollata del suo ex pupillo.
“L’omicidio è stato un messaggio”, ha sottolineato il pm nella requisitoria. “Un’esecuzione in pieno giorno, sotto gli occhi di tutti, per sancire chi comanda a Roma. Piscitelli era un leader carismatico, ma non docile. Si atteggiava a mammasantissima, mediava tra clan rivali e trattava con gli albanesi, ma non rispettava i patti”. Il colpo alla nuca, sparato mentre la guardia del corpo di Diabolik fuggiva, è stato un “avviso ai naviganti” in una città che, dietro la sua apparente anarchia criminale, nasconde un codice rigido di sanzioni mafiose. “Senese è un marchio che incute timore – ha aggiunto il pm – ma Piscitelli voleva essere un capo a sua volta, e questo non è stato tollerato”.
La dinamica dell’agguato richiama quella di Torvaianica: freddezza, precisione e un contesto pubblico per amplificare l’impatto. Piscitelli era al parco per un appuntamento – forse con Alessandro Capriotti, altro nome nelle indagini – quando il killer, mascherato da jogger, lo ha sorpreso alle spalle. “Un solo colpo, letale, tra la gente ignara”, ha rimarcato l’accusa, evidenziando il metodo mafioso e l’agevolazione di un’organizzazione strutturata.
Resta il giallo dei mandanti. Molisso e Bennato, pur indagati, non sono ancora imputati per questo delitto, e Senese, il “padrino” che avrebbe potuto dare il via libera, rimane una figura sullo sfondo. Le vendette seguite all’omicidio – il tentato assassinio di Bennato a novembre 2019 e i piani per eliminare Molisso – confermano una guerra tra fazioni che Diabolik, con la sua morte, ha scatenato. Calderon, ora destinato al carcere a vita, è solo il braccio armato di un disegno più ampio, i cui contorni sono ancora sfumati.