La donna è sparita dal pianerottolo di casa. Dentro l’abitazione c’erano sui fornelli la pentola del ragù e la moka ancora tiepidi. Che fine ha fatto Simona Bellagente?
SAN CIPRIANO PO (Pavia) – Fra le persone letteralmente sparite come fantasmi non possiamo non ricordare Simona Bellagente, 41 anni, casalinga, scomparsa da casa in un gelido 30 gennaio del 2009. La donna, che all’epoca dei fatti abitava a San Cipriano Po, in provincia di Pavia, al primo piano di una villetta bifamiliare di via Tizzoni 7, assieme al marito e al figlioletto di 8 anni, viveva un’esistenza apparentemente normale. Per anni aveva condotto una piccola attività commerciale ma poi, con la nascita del figlio, aveva preferito dedicarsi esclusivamente alla famiglia. La donna, sposata con Paolo Bagnaschi, allora di 45 anni, operaio, non aveva alcun motivo plausibile per sparire dalla circolazione e men che meno aveva manifestato problemi o disagi tali da fare presagire un’eventuale fuga volontaria.
Simona era una ragazza per bene, senza grilli per la testa e amava stare in casa a ricamare e cucire indumenti per parenti e amici. Sotto la sua abitazione abitava la madre Maria Mantovanelli, morta di crepacuore nel 2011 a 82 anni, e nell’altra porzione del fabbricato la sorella con la sua famiglia. Da quando si era sposata con Paolo, il suo primo e unico amore, Simona si era dedicata totalmente alle faccende domestiche e una volta nato il bambino, quest’ultimo era diventato l’incombenza primaria della sua esistenza. Insomma una donna casa e chiesa, come si dice:
”…Quel maledetto 30 gennaio era un giorno freddo e cupo come tanti altri qui nella Bassa – raccontava allora Paolo Bagnaschi – ed io tornavo a casa dal mio turno di lavoro. Trovai in strada parenti e amici ad attendermi. Mi informavano di non aver trovato in casa la Simona. Erano le 14 circa e anche mio figlio, tornato a casa con lo scuola-bus, mi corse incontro chiedendo della mamma. Simona non si sarebbe mai sognata di non aspettare nostro figlio alla fermata del pulmino, per altro distante dal nostro cancello alcune decine di metri. Dentro l’appartamento era tutto in ordine, il sugo pronto sui fornelli e la moka piena di caffè ancora tiepido. I documenti, le chiavi ed altri effetti personali erano rimasti sul tavolo, come sempre. Mia moglie era rimasta in casa certamente sino alle 11.30 secondo quanto riferiva mia suocera dunque Simona è stata inghiottita dalla nebbia? Che cosa le hanno fatto?...”.
Alle 11.30 circa, infatti, la madre di Simona, mentre era intenta a pulire la sua stanza da letto, avrebbe sentito alcuni rumori come di un cupo sbattere di scarpe, provenire dal soffitto di casa. La pensionata, ancora arzilla, per nulla invadente, decise di non salire dalla figlia onde permetterle di finire le pulizie senza attribuire importanza a quell’insolito calpestio:
”…Lì per lì ho creduto ad un rumore tipico di quando si riassettano le stanze – asseriva Maria Mantovanelli – e decisi di non salire da mia figlia. Forse, se l’avessi fatto, potevo darle aiuto…Mia figlia l’hanno portata via a forza…”.
Pochi giorni dopo la scomparsa della casalinga, ad un chilometro circa da casa, sulle rive del Po ed in un luogo inaccessibile ai normali automezzi, venivano ritrovati, perfettamente asciutti in una giornata nevosa, il piumino bianco della donna ed una pantofola. Qualcuno, forse con una barca, aveva poggiato sul terreno limaccioso i due oggetti per far credere ad un improbabile suicidio? Dunque un depistaggio? I cani da ricerca avevano fatto bene il loro lavoro. Un giubbotto ed una pantofola, a meno che non poggiati a terra un attimo prima del ritrovamento, come potevano essere perfettamente asciutti e non coperti di neve? Le due telecamere di sorveglianza stradale, una delle quali guasta e l’altra orientata in direzione trasversale all’abitazione dei coniugi Bagnaschi, non sono state di grande aiuto agli inquirenti ma, di contro, avrebbero favorito lo sconosciuto, o gli sconosciuti,responsabili del presunto rapimento. Allora è lecito chiedersi: qualcuno sapeva ed è andato a colpo sicuro? Com’è possibile che Simona si sia dileguata nella nebbia senza che nessuno l’abbia vista nonostante in paese ci fossero in giro diverse persone?
Un’altra cosa che all’epoca dei fatti aveva lasciato perplessi anche i carabinieri, che avevano cercato la donna in lungo e in largo assieme al sindaco dell’epoca Pietro Faravella, era stata l’assenza di segnalazioni e avvistamenti che, spesso, non mancano mai in questi casi: ”Niente di niente – affermava Paolo Bagnaschi – neppure per scherzo. Nemmeno una segnalazione anonima di qualche mitomane o del solito squilibrato. Che fine ha fatto la mia povera Simona?..”. L’unica cosa che ormai sembrava certa è che Simona non aveva intenzione di defilarsi per problemi sentimentali o altro, almeno apparentemente, dunque non rimaneva che pensare ad un’azione di forza da parte di terzi. Gli investigatori avevano controllato gli alibi di tutti?
”Mia moglie non se ne sarebbe andata cosi, da un momento all’altro – ripeteva il marito Paolo dopo quattro anni di inutili speranze – né c’erano i presupposti per farlo, almeno di tipo personale o, in particolare, con me. Andavamo d’accordo con gli alti e bassi che ci sono tra marito e moglie. Mai uno screzio, né litigate violente. Insomma lei è scomparsa perché qualcuno l’ha fatta sparire ma non so per quale motivo…”.
Con gli anni anche i timori sono venuti meno: una vicina di casa, che pare avesse taciuto per paura (di chi?), riferiva di aver sentito anche un urlo provenire dalla villetta di via Ernesto Tizzoni nel medesimo orario della sparizione della donna. Ma non è l’unico particolare inquietante: in casa di Paolo Bagnaschi e della moglie, asserivano alcuni amici della coppia, avrebbe lavorato un muratore, forse di origine calabrese, per eseguire opere di ristrutturazione. L’uomo, di fisico atletico, carnagione scura, cicatrice in viso e naso schiacciato alla boxeur, successivamente avrebbe preso servizio in un vicino cantiere edile di San Cipriano. L’operaio, dopo la sparizione della casalinga, si sarebbe defilato e nessuno l’avrebbe più rivisto in paese se non cinque mesi dopo, il 3 giugno 2009.
Dopo una settimana circa però l’uomo avrebbe fatto perdere ogni traccia di sé. Che fine ha fatto l’operaio? Aveva avuto un qualche contatto con Simona, che pare conoscesse bene, dopo la ristrutturazione di casa? L’uomo aveva a che fare con il piumino e la pantofola della donna ritrovati sull’argine del Po? Le indagini hanno mai approfondito questo aspetto della vicenda? Ma il muratore calabrese non sarebbe stato l’unico sospettato della sparizione della mamma di San Cipriano. Come lui anche un santone di origine rumena avrebbe conosciuto Simona Bellagente.
Una sensitiva piuttosto nota, spesso consultata dagli inquirenti per i casi più intricati, avrebbe confermato che la donna conosceva i due uomini e li avrebbe anche incontrati fuori dalle mura domestiche. La stessa veggente avrebbe raccontato ad alcuni volontari impegnati nella ricerca della donna che il corpo di Simona sarebbe stato nascosto in un anfratto del Po. Anni dopo uno scheletro di donna, affiorato sulle rive fangose del fiume, faceva ipotizzare la fine più tragica di quel brutto fatto di cronaca. Dopo gli accertamenti scientifici di rito gli inquirenti accertavano però che quei poveri resti non erano di Simona, né di altre donne sparite nel nulla:
”In casa non mancava niente, nemmeno un effetto personale – ribadiva il marito della donna sei anni dopo – Sul comodino c’erano persino il suo orologio e braccialetto preferiti da cui mai si sarebbe separata senza una ragione plausibile. Chi è entrato in casa mia conosceva mia moglie…”.
Se cosi è stato, e tutti gli indizi portano a supporlo, Simona avrebbe reagito forse spingendo fuori di casa l’intruso. In quel frangente, ma siamo solo nel campo delle mere ipotesi, la donna avrebbe iniziato ad urlare contro la persona che si era introdotta in casa (dunque le grida che aveva sentito una vicina c’erano state sul serio) e al culmine di una probabile colluttazione l’intruso avrebbe avuto la meglio riducendo all’impotenza la povera casalinga, ridotta poi nelle condizioni di non nuocere. Successivamente la donna, forse priva di sensi, potrebbe essere stata trascinata sul pianerottolo di casa (il calpestio sentito dall’anziana madre avrebbe dunque un senso) e trasportata al piano terra dove, chiusa in un sacco di plastica, sarebbe stata caricata a bordo di un’auto e via fra le fitte nebbie della Bassa:
”Se mia moglie è stata oggetto di violenza il suo corpo è rimasto a San Cipriano per qualche giorno – proseguiva il marito – ma è strano che proprio il 30 gennaio del 2009 nessuno abbia visto né sentito nulla salvo quella vicina di casa che, tardivamente, si era decisa a parlare… Forse si sarebbe dovuto fare di più a livello di indagini nei confronti di quei due uomini…”.
Oltre ai due individui però ci sarebbero state anche altrettante donne, vicine alla famiglia di Simona, che avrebbero avuto un ruolo nella sparizione della casalinga. Ma chi sono queste due donne? Sono state mai identificate? Le stranezze, ovviamente, non finiscono qui:
”Sono stati utilizzati cani molecolari – aggiungeva Bagnaschi ricordando anni dopo i tragici accadimenti – i cani avvertivano la presenza di mia moglie solo all’interno delle mura di casa ma una volta fuori, sul balcone, perdevano ogni traccia. Perchè? Simona ha lasciato le pentole sul fuoco, i suoi effetti personali sul tavolo del tinello come se da questa casa non si fosse mai allontanata, che significa? Che fine ha fatto la madre di mio figlio?..”.
Certo è che Simona avrebbe avuto a che fare con persone che conosceva bene e a cui ha aperto la porta di casa senza timore. Poi un litigio finito male? Un sacco di plastica per trasportare altrove il corpo senza lasciare tracce anche per il fiuto dei cani più abili? Forse si sarebbe dovuto scavare più a fondo tra parenti, amici e conoscenti ma tant’è. Per Simona Bellagente è stata fatta richiesta di morte presunta.