I dati dicono che siamo sempre più attenti alla qualità del cibo e al rapporto con l’ambiente, ma il prezzo elevato rende tutto ciò accessibile solo a pochi.
Secondo alcune ricerche, i nostri connazionali risulterebbero attratti dal cibo biologico, dalla sua qualità, provenienza e impacchettamento. Questa tendenza è stata confermata dall’ “Osservatorio Packaging del Largo consumo”, lo strumento realizzato da Nomisma per studiare il tema del packaging dal punto di vista della sostenibilità ambientale. E’ emerso che il 38% è attento all’alimentazione “green” e quasi l’80% valuta la sostenibilità prioritaria nelle scelte alimentari.
E’ probabile che lo studio, forse, ha riguardato cittadini con reddito medio alto, in quanto i prodotti cosiddetti “biologici” costano molto e non sono alla portata di tutti. Pensate ad una famiglia con redditi bassi e con figli a carico, è chiaro che è costretta a scegliere cibi dal prezzo più contenuto, ma spesso più processato e quindi nocivo alla salute. Della serie “se la fortuna è cieca, la sfiga ci vede benissimo”!
Comunque il consumatore sembra orientato a ridurre lo spreco alimentare, a optare per prodotti del territorio e con confezioni “sostenibili” o, meglio, sfusi. Il “packaging” è quell’attività di studio, progettazione e realizzazione di confezioni, in grado di differenziare i prodotti e renderli facilmente riconoscibili agli occhi dei consumatori. Però non sempre ciò che è accattivante al primo impatto corrisponde alla sostanza. La neuropsicologia considera questo aspetto quasi decisivo nel condizionare le scelte dei consumatori.
Comunque sia, il 46% del campione esaminato ritiene che esso dev’essere sostenibile, il 43% a km 0 e il 42% con basse emissioni di CO2. Ovvero la sostenibilità è garantita se il prodotto è: interamente riciclabile; senza sovra imballaggio, cioè senza materiali e metodi che superano i requisiti richiesti per proteggerlo e trasportarlo in sicurezza; confezionato con materie prime provenienti da fonti rinnovabili; con basse emissioni di CO2. Inoltre il cibo per essere benefico deve rispettare alcuni requisiti: essere poco processato; senza additivi o coloranti; senza zuccheri aggiunti; con pochi o assenza di grassi.
A tal proposito, in un supermercato è capitato che un consumatore molto attento agli ingredienti, dopo aver preso dallo scaffale una confezione di cibo biologico, leggendo che era senza olio di palma, senza zuccheri aggiunti, senza additivi e senza grassi, abbia esclamato: “Non sarà pure… senza ingredienti?”
Oltre a questi aspetti, si fa molta attenzione al risparmio e al giusto prezzo. Ci si rivolge, poi, al Made in Italy, perché considerato più di qualità. Il cibo non serve solo per mangiare, ma ha assunto nel corso dei secoli, aspetti di convivialità, di benessere individuale e comunitario. Quante situazioni individuali e collettive si sono decise a tavola? Tante, si sono firmati patti, accordi, si sono decise guerre, sono iniziate o finite storie d’amore.
Il cibo rappresenta un fattore identitario che riflette la cultura di una società. Ognuna di essa ha codificato il suo rapporto con l’alimentazione in base a elementi come geografia, ambiente, economia, storia e religione. Il cibo viene studiato dall’antropologia come una materia fertile per comprendere le caratteristiche delle società. Nonostante il consumatore attento sia in crescita, c’è da segnalare, oltre alle costose e non facilmente rintracciabili materie prime, una normativa non sempre chiara e si tratta di un mercato non accessibile a tutti. Si può essere anche sedotti dal cibo, ma senza risorse non si ha voce in capitolo!