Per i giudici l’individuazione dei 4 componenti è atto libero nei fini, e attiene alle superiori esigenze di tutela del pluralismo.
Roma – È escluso che la votazione dei componenti del Cda della Rai, svolta dalle Assemblee delle due
Camere, costituisca un atto amministrativo; e la procedura seguita ha natura parlamentare, e in quanto tale “non sindacabile dal giudice comune”. Così il Tar del Lazio nelle due pressoché identiche sentenze con le quali ha dichiarato inammissibili i ricorsi proposti da Antonino Rizzo Nervo, Stefano Rolando e Patrizio Rossano (il primo), e Giulio Enea Vigevani (il secondo), per chiedere l’annullamento dell’avviso, pubblicato il 21 marzo 2024 sul sito istituzionale della Camera dei Deputati, per la presentazione delle candidature a
componente del Cda della Rai, nonché del verbale di approvazione dell’esito della votazione.
Sul presupposto della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo nella materia di riferimento, i ricorrenti avevano denunciato vizi di violazione di legge e eccesso di potere. Il Collegio, però, ha rilevato l’eccepito difetto assoluto di giurisdizione, facendo riferimento anche a precedenti della sezione che, nell’affrontare la questione relativa all’elezione dei consiglieri di amministrazione, già nel 2019 portarono alla dichiarazione d’inammissibilità dei ricorsi proposti “sulla base della palese divisata natura ‘politica’ dei relativi atti, siccome assunti dalle Camere”. Ecco che allora, nel caso specifico “l’elezione dei quattro membri del Consiglio di amministrazione della Rai – si legge in una delle sentenze odierne – è atto del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati nella loro composizione assembleare e dunque di organi costituzionali e non amministrativi. Si è in presenza, all’evidenza, di organi politici di vertice, che a mezzo del meccanismo elettivo esprimono una scelta politica”.
In più, “l’individuazione dei quattro componenti del Consiglio di amministrazione della Rai è atto libero nei fini, in quanto attinente alle superiori esigenze di carattere generale di tutela del pluralismo, della democraticità e dell’imparzialità dell’informazione, in ordine alle quali i due rami del Parlamento si esprimono in posizione di indipendenza dal Governo”.