I militari Mauro Mitilini, Andrea Moneta e Otello Stefanini vennero uccisi a Bologna il 4 gennaio del ’91 dalla Banda della Uno Bianca. “Difficile non pensare che fu un eccidio pianificato. Deve cadere il muro d’omertà”.
Bologna – Si è svolta questa mattina a Bologna la 34esima commemorazione della Strage del Pilastro, avvenuta il 4 gennaio 1991, uno degli episodi più inquietanti della storia criminale italiana. L’azione, eseguita dalla Banda della Uno Bianca, un feroce gruppo criminale composto da cinque poliziotti in servizio tra Bologna, Cesena e Rimini, portò all’uccisione dei tre giovani carabinieri Mauro Mitilini, Andrea Moneta e Otello Stefanini, assassinati con una brutalità che ha lasciato un segno indelebile nella memoria collettiva.
I familiari delle vittime, come anche il cardinale Matteo Zuppi durante la messa, sono tornati a chiedere una verità completa sulla strage, che sappia gettare luce anche sui troppi punti oscuri che la verità giudiziaria non ha saputo chiarire. “Difficile non pensare – hanno spiegato – di fronte a tanta efferatezza, caratterizzata da una precisa pianificazione e dalla determinazione ad uccidere, che quella del Pilastro fu una strage esemplare, un colpo allo Stato, un’azione con un significato che riporta alla memoria le grandi stragi che hanno insanguinato il nostro paese”.
Nel 2023, i familiari dei tre militari trucidati al Pilastro hanno presentato un esposto per la riapertura delle indagini, chiedendo di accertare eventuali complicità e coperture di cui i fratelli Savi, condannati all’ergastolo, avrebbero beneficiato. Esprimono fiducia nel lavoro della Procura di Bologna, auspicando che il muro di omertà, che per anni ha ostacolato la ricerca della verità, continui a sgretolarsi.
I familiari contestano la versione ufficiale emersa nel processo del 1997. Ritengono che l’agguato fosse premeditato e non finalizzato al furto delle armi dei carabinieri, mai sottratte. Hanno sottolineato la presenza di un complice sconosciuto, alla guida di un’Alfa 33, che avrebbe facilitato la fuga dei Savi, nonché l’impiego di potenti armi e il piano per bruciare la Uno Bianca per eliminare ogni traccia.
Discrepanze nelle perizie balistiche e nelle testimonianze sollevano ulteriori interrogativi. I familiari affermano che la prima arma a sparare fu una pistola calibro .38, e non un fucile AR 70, come stabilito dalla Corte di Assise. Questo dettaglio, secondo loro, altera l’intera ricostruzione della strage. La vicenda è ulteriormente complicata dall’esistenza di depistaggi e dichiarazioni discordanti, che hanno rallentato il raggiungimento della verità. In particolare, rimane il mistero sulla figura di un confidente che, secondo l’ex ministro dell’Interno, fornì informazioni decisive per l’arresto dei Savi. Chi era questa persona? Aveva legami con la banda?
La Banda della Uno Bianca seminò terrore e morte per sette anni, dal 1987 al 1994, soprattutto tra Emilia Romagna e Marche, compiendo 103 azioni criminali, in particolare rapine alle banche, e lasciando dietro di sé una terrificante scia di sangue: 24 morti e 114 feriti. Azioni caratterizzate da una violenza inaudita e da obiettivi apparentemente privi di logica. La strage del Pilastro, con la sua efferatezza e precisione, rimane una ferita aperta, non solo per i familiari delle vittime, ma per l’intero Paese.