Nel primo autunno del 1988 la piccola comunità di Goro viene sconvolta da un brutale fatto di cronaca nera. Willy Branchi, 18 anni, viene trovato trucidato e seviziato in un fosso. Sarà l’unica vittima?
GORO (Ferrara) – C’è una sottile lingua di terra che si tuffa nel mare Adriatico settentrionale. Una terra di confine, una di quelle dove il dialetto veneto e quello romagnolo danzano in bocca agli oratori sfocando i confini regionali. Su quel piccolo lembo di terra si trova una cittadina di poche migliaia di abitanti: Goro, coccolata dal fertile Po a nord e accarezzata dalla salsedine dell’adriatico a Sud. Goro è tradizione, campi e pesca di vongole. Goro è paese geloso e riservato, gentile e crudo, un Giano bifronte che difficilmente si sbottona con gli sconosciuti.
Il pesante velo di riservatezza del borgo viene però squarciato la mattina del 30 settembre 1988, da quel giorno il paese diventa una parola sulla bocca di molti. Quel maledetto giorno a pochi metri dal cartello stradale che riporta il nome del paese c’è un cadavere. Il corpo massacrato appartiene a Willy Branchi, un ragazzo di soli 18 anni affetto da un lieve ritardo mentale. Il corpo è prono, maculato di lividi scuri e sotto lo zigomo sinistro figura un grosso foro causato da una pistola captiva, di quelle che si usano nei macelli. Ci sono segni di strangolamento e di brutali sevizie, la furia e l’impeto suggeriscono il movente passionale. È un rompicapo l’omicidio di Vilfrido detto Willy, un ragazzone di un metro e novanta che voleva bene a tutti e che da tutti era benvoluto.
Valeriano Forzati detto “Tango”
In un piccolo paese come Goro ci sono sempre luoghi di ritrovo, locali che assolvono al compito di strutturare la socialità tra lo sparuto gruppo di abitanti. Nella fattispecie quel locale è una pizzeria ed è proprietà della famiglia Biolcati. Alla pizzeria Biolcati la sera del 29 settembre 1988 c’è un uomo. Da solo sta mangiando una pizza sotto gli sguardi torvi degli altri avventori. Quell’uomo ha tutti gli occhi addosso perché non è una persona normale. Quell’uomo si chiama Valeriano Forzati, conosciuto anche con il nomignolo “Il colonnello” oppure, meglio ancora, come “Tango” ed è un criminale di spicco. Forzati è intimo amico di “Faccia d’angelo”, alias Felice Maniero, il boss della mala del Brenta, ed è per questo che i clienti della pizzeria lo guardano storto, con un misto di paura e rancore.
Non tutti però hanno paura di Forzati, un ragazzone di quasi un metro e novanta con un grande ed ingenuo sorriso varca la soglia d’ingresso del ristorante. Dopo aver scambiato qualche parola giocosa con chi gli si para davanti il ragazzo si dirige dritto verso il tavolo di Forzati e, dopo avergli dato una pacca sulla spalla, si siede con lui. Il ragazzone é Vilfrido Branchi detto Willy e sembra inspiegabilmente in buoni rapporti con il criminale. I due infatti cenano assieme dopodiché, entrambi, si allontanano dalla pizzeria dirigendosi lungo via Battisti. All’una e dieci circa, alcuni ragazzi a bordo di una Renault 4 celeste vedono i due nei pressi di un bar, all’altezza dell’incrocio tra via Battisti e via Garibaldi.
Intorno all’una e mezza diverse grida di dolore squarciano il silenzio quasi assoluto del piccolo borgo di confine. Le urla provengono da via Buozzi, ai tempi una piccola e buia strada sterrata a pochi centinaia di metri dal citato bar, poi silenzio. In seguito al rinvenimento del cadavere di Willy, Valeriano Forzati finisce subito nel mirino degli investigatori. E’ un pluripregiudicato e soprattutto è l’ultima persona vista in compagnia della vittima. Le prove però non ci sono, ma le voci corrono e saranno proprio le dicerie a fare da prologo ad un’ulteriore tragedia.
Il 2 febbraio del 1989 Valeriano Forzati si trova al bar Laguna Blu di Mesola, è ubriaco fradicio e non perde occasione per molestare chiunque gli venga a tiro. Sono passati poco più di quattro mesi dall’omicidio di Willy e per tutto quel tempo voci e pettegolezzi su Forzati hanno continuato ad inseguirsi. Quel 2 febbraio “Tango” viene messo alla porta dai proprietari del Laguna Blu, la frustrazione nell’essere ormai stigmatizzato per quel fattaccio a cui si dichiara del tutto estraneo porterà il delinquente a ripresentarsi poco dopo nel locale per consumare una vera e propria strage. Dopo aver varcato l’ingresso armato di pistola e mitraglietta apre il fuoco uccidendo Ennio e Franco Massimo, gestori del night club ed Ada Marzia Turri, 27 anni, fidanzata di Ennio.
Dopo essersi allontanato dalla scena del crimine Forzati miete un’altra vittima. Per facilitare la sua fuga decide di rubare un’Alfa 164, con alla guida l’agricoltore Dino Govoni, 54 anni, freddato con un colpo di pistola alla tempia nei pressi di Poggio Renatico. “Tango” sparisce nel nulla per 396 giorni. Verrà arrestato il 6 marzo 1990 a Buenos Aires dove morirà assassinato in prigione pochi mesi più tardi. Valeriano Forzati in seguito verrà totalmente prosciolto dall’accusa di omicidio in danno di Willy Branchi per insufficienza di prove.
La pista dello spaccio
In quel piccolo paese dove le voci girano veloci, si ventila anche l’ipotesi che Willy fosse implicato in un giro di spaccio. Rodrigo Turolla, sarto storico di Goro, mentre attende di essere interrogato dagli inquirenti, in seguito alla riapertura delle indagini nel 2014, viene intercettato mentre parla di alcune “bustine” che Willy avrebbe dovuto consegnare in giro per il paese. Del fatto ne parla con colui che è stato sacerdote a Goro per più di 30 anni, don Tiziano Bruscagin, persona che giocherà un ruolo fondamentale nello sviluppo delle indagini. La pista dello spaccio sembrerebbe avvalorata anche da quello strano rapporto tra la vittima e Valeriano Forzati, i due pur appartenendo a mondi completamente opposti sembravano condividere un rapporto amicale piuttosto stretto. Sì torchiano i piccoli pusher della zona, anche quelli meno piccoli, ma la risposta non cambia: impossibile che Willy fosse coinvolto in un traffico di droga, nessuno avrebbe affidato un compito così delicato a un giovanotto ingenuo come lui. In effetti le prove non ci sono e anche la pista dello spaccio viene abbandonata.
Gli avanguardisti di Goro
Alla fine degli anni ’70 e per tutti gli ’80 il vento della ribellione travolge la piccola cittadina dell’hinterland ferrarese proprio come ha fatto con tutti gli altri piccoli borghi conservatori, plasmando una generazione di giovani liberi da preconcetti e da ancestrali ansie religiose. Di questo sparuto gruppo di giovani, alcuni, la notte del 29 settembre, si trovano a bordo di una Renault 4 celeste e sono proprio quei ragazzi che per ultimi vedono Willy Branchi in compagnia di Valeriano Forzati. Le dichiarazioni contrastanti dei passeggeri di quella Renault 4 celeste attirano le attenzioni degli inquirenti che decidono di approfondire le loro posizioni. I loro nomi sono:
Italo Mantovani
Dichiara di aver visto verso l’una e dieci, in piazza Cesare Battisti, Willy Branchi in compagnia di “Tango” Forzati per poi dirigersi verso il bar dell’Angolo. In seguito sarebbero saliti a bordo dell’auto anche con tale Antonio Biolcati e una certa Maria.
Monia Grigatti
Conferma la versione di Mantovani e racconta di essere stata accompagnata a casa poco dopo in via Buozzi, qualche minuto dall’aggressione al povero Willy, ma giura di non ricordare alcun grido di dolore.
Antonio Biolcati
Dichiara agli inquirenti di essere salito a bordo dell’auto in piazza Cesare Battisti confermando la versione di Grigatti e Mantovani. L’uomo verrà intercettato due settimane più tardi dagli investigatori mentre cercava di costruirsi un falso alibi durante una chiamata con un’altra passeggera della Renault 4 di nome Maria. Biolcati dirà infatti alla donna di dichiarare che quella notte, al momento dell’aggressione a Willy Branchi, l’auto con tutti i passeggeri si trovava dalla parte opposta di Goro, ovvero al porto.
Maria
La donna conferma di essere salita sulla Renault 4 in piazza Cesare Battisti con Biolcati. Maria ricorda anche l’incontro con Willy e Forzati alla pizzeria Biolcati, ma ricorda altrettanto bene il fatto che Willy, a fine cena, si fosse allontanato da solo.
Antonello Veronesi
Nonostante sia il proprietario dell’auto e che tutti lo ricordano a bordo della sua Renault 4, Veronesi nega categoricamente che la notte del 29 novembre ci sia stato alcun giro a bordo della sua automobile.
Continua nella seconda puntata