Negli ultimi dieci anni, il numero di bambini usciti dal sistema scolastico si è triplicato. Dal mancato accesso alla scuola materna agli ostacoli socioeconomici, le cause sono molte.
Qualche tempo fa è stata presentata a cura dell’Istat, la voluminosa rilevazione BES (Benessere Equo e Sostenibile) sul Benessere dei territori, che integra il primo con indicatori rilevanti per il livello locale. Ogni 50 bambini, tre della fascia d’età 3-5 anni non frequentano la scuola materna. Il loro esordio scolastico giunge con la prima elementare. I bambini che per un motivo o per un altro sono, di fatto, fuori dal sistema d’istruzione si sono triplicati rispetto a 10 anni fa.
La tendenza si era palesata già prima della pandemia, che non ha inciso più di tanto. E’ stata rilevata una partecipazione più marcata dei bimbi alla scuola materna nel Mezzogiorno, mentre al Nord e al Centro la presenza è più bassa. L’Unione Europea (UE) ha ipotizzato, per i bambini tra la scuola materna e quella primaria, di raggiungere la quota del 96% entro il 2030. C’è da precisare che la scuola materna, nel nostro ordinamento, non è obbligatoria. E’ un’offerta per i bambini dai 3 ai 6 anni. L’obbligo vaccinale ha assunto un aspetto importante, nel senso che il bimbo la cui famiglia ha rinunciato alla vaccinazione viene estromesso dall’istruzione pubblica. Questo, per alcune regioni può spiegare la carenza di iscritti alla scuola materna, ma per le altre il divario resta. Per la cronaca, la Legge 31 luglio 2017, n. 119 prevede 10 vaccinazioni obbligatorie per la frequenza scolastica per i minori di età compresa tra zero e sedici anni e per i minori stranieri non accompagnati.
In Italia esiste un buon numero di asili parentali. È una scelta alternativa al sistema scolastico tradizionale. A livello organizzativo, nella maggioranza dei casi, si tratta di associazioni costituite da gruppi di genitori che decidono di creare una realtà e selezionare dei professionisti qualificati a cui affidare il compito educativo. Poiché la scuola materna non è obbligatoria ci sono pochi adempimenti burocratici per l’asilo familiare. Chi decidesse di continuare, anche con la scuola primaria l’esperimento a casa, deve consegnare al dirigente scolastico più prossimo una certificazione, rinnovabile ogni anno, sui requisiti tecnici e/o economici idonei all’insegnamento. Questa dichiarazione dovrà passare la verifica del dirigente scolastico. Il bambino che frequenta questa scuola, dovrà sorbirsi ogni anno un esame di idoneità fino al termine del percorso di istruzione.
Per quanto riguarda la frequenza degli asili nido si è assistito ad un capovolgimento. Questa volta è il Nord con una frequenza più alta rispetto al Sud. Una delle cause potrebbe essere la bassa presenza di asili nido. L’UE ha stabilito almeno la quota del 33% di bimbi con meno di 3 anni che dovrebbero utilizzare l’asilo nido. In Italia siamo arrivati al 30%, quindi non lontani dal traguardo. Tuttavia questa percentuale sta a significare che 2/3 delle famiglie restano tagliate fuori.
E’ vero che gli asili parentali, in parte, suppliscono alla mancanza di opportunità, però c’è da segnalare che i costi sono più alti di quelli comunali. Nel Sud sono emerse delle particolari contraddizioni. Ad esempio, in Campania c’è il maggior numero di bambini iscritti alla scuola materna, mentre la più bassa percentuale di asili nido. Mistero della statistica e delle sue rilevazioni! Non può essere che i fenomeni sociali sono talmente fluidi e repentini che possono risultare inafferrabili? Comunque, si avverte la necessità di maggiori asili nido comunali e statali, imitando le scuole materne pubbliche, gratuite, a parte il costo del cibo e dei trasporti. Mediamente gli asili nido comunali hanno un costo di 500 euro, mentre quelli privati il doppio. Quindi non sono per tutte le tasche!