Il Rapporto 2024 accende una luce sulle criticità dietro le sbarre: condotto uno studio qualitativo e focus group per trovare soluzioni.
Roma – Anche il Rapporto Caritas 2024 interviene sul dramma ormai noto dei suicidi in carcere e del sovraffollamento. E lancia l’allarme sulle criticità che investono il sistema penitenziario, come la difficoltà di gestione e di avvio di attività educative, mirate al reinserimento delle persone. Nel 2024 (fino al 30 settembre), i detenuti presenti nei 189 istituti penitenziari italiani risultano 61.862, a fronte dei 51.196 posti disponibili. Le persone in esubero sono dunque oltre 10mila. Nel 2024 (fino al 3 novembre) sono stati registrati 78 suicidi, il dato si sta purtroppo avvicinando a quello dell’annus horribilis (2022) che ne ha fatti registrare 84. Le misure di comunità andrebbero fortemente incentivate perché hanno una forte valenza sociale e di impatto: si abbassa la recidiva, sono strumento di reinserimento nella comunità, rappresentano una possibile risposta al sovraffollamento.
Nel 2024 (fino al 30 settembre) sono 222.518 le persone in carico all’UEPE (Ufficio per l’esecuzione penale esterna) che stanno eseguendo oppure hanno richiesto le misure di comunità. Di questi: 50.189 le persone in messa alla prova (misure di comunità); 46.094 le persone che sono in affidamento in prova al servizio sociale; 21.771 in detenzione domiciliare; 1.933 in uno stato di semilibertà. E ancora, emerge nel Rapporto, le attività legate all’inserimento di chi ne beneficia assorbono numerose Caritas diocesane, pertanto, si è deciso di condurre uno studio qualitativo al fine di approfondire alcuni aspetti attraverso gli occhi e le voci di chi ne usufruisce: sono stati condotti 17 colloqui in profondità e un focus group con i referenti giustizia, coinvolgendo le Caritas diocesane di Firenze, Cuneo- Fossano, Palermo, Trani-Barletta-Bisceglie e Verona.
In sintesi, “i beneficiari narrano le misure di comunità come un’opportunità, una restituzione alla comunità che, al contempo, offre opportunità di cambiamento e maturazione personale”. Dall’analisi delle parole degli intervistati, dice il report, emergono alcune aree tematiche molto chiare, riportate da parole ricorrenti come ”oltre”, ”daccapo”, ”ricominciare”: le misure di comunità offrono la possibilità di ricostruirsi una vita, anzi sembra che permettano uno spazio in cui sia possibile pensare al futuro.
In particolare, dall’analisi delle parole citate che hanno attinenza con le misure di comunità e quelle che si riferiscono al vissuto in carcere (i 2/3 degli intervistatati), si evidenziano due aree semantiche quasi diametralmente opposte che bene raccontano le due esperienze: la speranza si contrappone alla disperazione, l’attivazione per aiutare gli altri si contrappone alla passività, la generatività alla stasi (al tempo che non passa mai), il coraggio e la determinazione allo stress e alla tensione.
La realtà è che si continua a morire in cella. Il bollettino di morte continua a salire. Nel Focus per l’anno 2024 del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà nazionale, i dati erano aggiornati al 16 settembre: erano 67 suicidi da inizio 2024, +19 rispetto al 2023. Ma nel frattempo l’emergenza non si è fermata e la cifra sale impietosa. Numeri che variano di ora in ora. Ma il Focus del Garante ha tentato di andare a fondo del dramma, analizzando la mappa della scia di morte, l’identikit di chi si toglie la vita e il perché del gesto estremo. Innanzitutto emerge il numero dei penitenziari coinvolti. Gli istituti in cui si sono verificati i suicidi sono 46 (pari al 24% del totale delle strutture penitenziarie): 41 Case circondariali e 5 Case di reclusione.
Va evidenziato che le sezioni maggiormente interessate sono quelle a custodia chiusa, con 57 casi (pari all’85%), mentre in quelle a custodia aperta sono stati registrati 10 casi (pari al 15%). Delle persone che si sono tolte la vita in carcere (fino al 16 settembre scorso), 29 erano state giudicate in via “definitiva” e condannate (43%), mentre 9 avevano una posizione cosiddetta “mista con definitivo”, cioè avevano almeno una condanna definitiva e altri procedimenti penali in corso; 24 persone (36%) erano in “attesa di primo giudizio”, 2 ricorrenti, 2 appellanti e 1 internato provvisorio.
La maggior parte delle persone era accusata o era stata condannata per reati contro la persona 34 (pari al 51%), tra questi si riportano quelli di maggiore rilievo: 13 per omicidio (tentato o consumato), 8 di maltrattamento in famiglia e 4 di violenza sessuale. A seguire i reati contro il patrimonio 23 (pari al 34%), per legge droga (5). Poco significativi sul piano statistico appaiono invece gli altri tre tipi di reato: contro le immigrazioni clandestine (1) per detenzione di armi (2) e concorso in reato (1), per atti persecutori (1) e in 1 caso il dato è mancante.