Orsini invoca stop agli incentivi per il colosso dell’automotive. La replica di Tavares: “Piano strategico a lungo termine da 50 miliardi”.
Roma – Confindustria invoca lo stop agli incentivi per Stellantis: il presidente Emanuele Orsini chiede che venga chiuso il rubinetto degli incentivi. “Non investe in Italia”, ma privilegia l’estero, e scrive “letterine” per invitare le aziende della filiera a delocalizzare. “Non possiamo più permetterlo”, ha accusato il capo di Confindustria, sollevando la reazione di Carlos Tavares. Ed è scontro aperto. Per Orsini “deve essere finanziato chi fa gli stabilimenti e fa produzione”. Stellantis invece ha aperto la strada a circa 3.500 uscite anticipate nel corso del 2024 e alla cassa integrazione.
La tesi di Tavares è che per vendere auto occorra che ci sia domanda, ma in un mercato senza incentivi la richiesta di nuove vetture è in bonaccia. “Per produrre auto o veicoli commerciali servono gli ordini. Come in tutti i settori, è la domanda a creare il mercato e non il contrario”, ha sostenuto il ceo di Stellantis, che per stimolare il mercato ha più volte invocato nuovi ecobonus. La replica di Stellantis, e la tesi è quella che l’azienda ha “elaborato il suo piano strategico a lungo termine, che prevede un investimento complessivo di circa 50 miliardi di euro nel corso del decennio. Negli ultimi anni l’azienda ha investito in Italia più di 2 miliardi di euro all’anno.
Per il colosso dell’automotive, l’Italia è l’unico Paese al mondo con due piattaforme di produzione (Stla Medium a Melfi e Stla Large a Cassino). Ma non solo. A Torino ha sede l’unico Battery Technology Centre al mondo per i test sulle batterie e il capoluogo piemontese è anche sede del primo Circular Economy Hub”. Orsini ribadisce anche la necessità di tempi più lunghi per l’auto elettrica. “Deve valere il principio di ‘neutralità tecnologica’ e non si può imporre l’elettrico per normativa. Le tecnologie si cambiano perché sono fruibili, accessibili e soprattutto perché sono nella disponibilità di tutti” osserva.
Insomma, oltre al conflitto con il Governo italiano, che chiede conferme al Gruppo industriale sulla continuità di investimento e produzione nel nostro Paese, il colosso automobilistico franco-italiano nata dalla fusione tra PSA e FCA adesso deve fronteggiare la crisi del settore che si scontra con la scarsa domanda verso i veicoli elettrici senza il supporto degli incentivi statali. Non solo: su Stellantis incombe la minaccia delle possibili sanzioni che l’Ue ha pianificato per chi oltrepassa il limite di CO2. Soglie che saranno vigenti a partire dal 2025. Questo limite costringerà molti costruttori europei a introdurre delle soluzioni drastiche e Stellantis ne ha pensato una che fa ancora discutere.
L’affondo di Confindustria va ancora di più a inasprire il conflitto. Tre spade di Damocle pendono sulla testa di Stellantis: la minaccia di sanzioni Ue, le vendite che restano al palo, e la necessità di tutelare i tanti posti di lavoro. E allora come uscire dall’impasse? La soluzione alla questione è quella paventata da Jean-Philippe Imparato, ex ceo dell’Alfa Romeo e nominato Chief Operating Officer in Europa in seguito al recente rimpasto del management del gruppo, dove si è messo nero su bianco che Carlos Tavares lascerà l’incarico al termine del suo mandato di Ceo, “all’inizio del 2026”. Il manager francese Imparato ha spiegato come la sua azienda, per essere proprio sicura di non incappare nelle multe, dovrebbe vendere circa il 24% di auto elettriche tra tutto il suo venduto in Europa.
A gennaio del 2021 la fusione di PSA, l’azienda francese che produce Peugeot e Citroën, e FCA, l’azienda italo-americana nata a sua volta dalla fusione di FIAT e Chrysler. Una “mossa” dell’azienda per rispondere alla perdita di competitività del modello produttivo della FIAT. Ma dalla sua nascita Stellantis ha progressivamente trasferito all’estero gran parte della produzione e progettazione. E qui erano piovute critiche della politica e dei sindacati. Ora lo scontro si è riacceso e le domande ai tanti interrogativi su cosa accadrà sono ancora tante.
Intanto le segreterie nazionali di Fim, Fiom e Uilm esprimono ”profonda preoccupazione e ferma contrarietà per la recente decisione del governo nella Legge di Stabilità di tagliare al fondo automotive, istituito dal precedente Esecutivo, 4,6 miliardi di euro, pari all’80% delle risorse previste. In un momento in cui
l’intero comparto automotive si trova in una fase di profonda trasformazione e crisi, risulta fondamentale un forte sostegno per garantire la competitività del settore, la difesa dell’occupazione e l’innovazione tecnologica, indispensabile per affrontare le sfide del futuro”. Lo scrivono le tre sigle in una nota, sottolineando che così ”si ignora un intero settore e le richieste di oltre 20.000 lavoratori, che lo scorso 18 ottobre hanno partecipato allo sciopero nazionale e alla manifestazione di Roma per chiedere un supporto
concreto. Questa mobilitazione, anziché trovare ascolto e una risposta positiva, è stata seguita da un provvedimento che va nella direzione opposta a quella auspicata, mettendo a rischio il futuro di migliaia
di famiglie e la sopravvivenza di una filiera strategica per il Paese”.
I sindacati chiedono che i 5,8 miliardi del fondo dell’auto vengano non solo ripristinati, ma anche ”incrementati”, in linea con ”le necessità attuali e con quanto si dovrà ottenere anche a livello europeo, per sostenere una giusta transizione ecologica e occupazionale” e per questo ribadiscono ”l’urgenza di una
convocazione ufficiale da parte della Presidenza del Consiglio, con la partecipazione delle segreterie di Fim, Fiom, Uilm, dei vertici di Stellantis e delle aziende della componentistica, affinché si possa discutere insieme delle misure necessarie per salvaguardare l’industria automobilistica italiana e i suoi lavoratori”.