Migranti, il Csm chiede l’apertura di una pratica a tutela dei giudici del caso Albania

Iniziativa di 16 consiglieri esclusi i togati di Magistratura indipendente e laici di centrodestra, in difesa delle toghe di Roma.

Roma – Tutti i componenti togati del Csm delle correnti di Area, Magistratura democratica e Unicost e gli indipendenti Fontana e Mirenda, ma non quelli di Magistratura indipendente, hanno depositato la richiesta di apertura di una pratica a tutela dell’indipendenza e dell’autonomia dei magistrati, a seguito delle recenti ordinanze dei giudici della sezione immigrazione del tribunale di Roma sui migranti nel centro di permanenza per il rimpatrio in Albania.

“Le critiche alle decisioni giudiziarie non possono travalicare il doveroso rispetto per la magistratura, si legge nel documento, dove si citano “le dichiarazioni di queste ore da parte di importanti rappresentanti delle istituzioni” che “alimentano un ingiustificato discredito nei confronti della magistratura”. Le firme della petizione sono 16, la maggioranza del Consiglio. Alla petizione si sono associati anche i componenti laici Ernesto Carbone (in quota Italia Viva), Michele Papa (in quota M5s) e Roberto Romboli (in quota Pd).

Il Consiglio superiore della magistratura

“A seguito di alcune recenti ordinanze adottate dal tribunale di Roma in tema di protezione internazionale – si legge nella richiesta indirizzata al comitato di presidenza del Csm – si sono succedute numerose dichiarazioni da parte di importanti esponenti politici nazionali che hanno duramente attaccato i magistrati. Le critiche alle decisioni giudiziarie non possono travalicare il doveroso rispetto per la magistratura: applicare e interpretare le leggi di fonte nazionale e sovranazionale nei singoli casi non significa occuparsi di politiche migratorie o di altro genere. I provvedimenti attaccati- sui quali non si esprime alcuna valutazione di merito – si fondano sulle decisioni della Corte di Giustizia Europea, vincolanti per i giudici nazionali, e sulle informazioni predisposte dallo stesso ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale”.

Le ordinanze del tribunale di Roma, “se non condivise, possono essere impugnate innanzi alla Corte di Cassazione, come peraltro avvenuto in un caso similare di qualche mese fa e riferito alla cauzione prevista dal cosiddetto decreto Cutro. Anche in quell’occasione vi furono significative polemiche su alcuni provvedimenti emessi dai giudici di primo grado, ma i ricorsi sono stati successivamente oggetto di rinuncia, con il consolidamento delle decisioni adottate. Le dichiarazioni di queste ore da parte di importanti rappresentanti delle istituzioni alimentano un ingiustificato discredito nei confronti della magistratura, tanto da imporre l’apertura di una pratica a tutela della sua indipendenza e autonomia”.

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