Ancora guerra sul fine vita: le opposizioni chiedono di avviare discussione ddl

In una lettera si sollecita il tempestivo approdo in Aula. Un tema spinoso su cui c’è un ricorso al Tar e su cui si è pronunciata la Consulta.

Roma – I capigruppo dei partiti di opposizione nelle commissioni Giustizia e Affari sociali hanno scritto una lettera ai presidenti delle rispettive commissioni per sollecitare l’avvio della discussione del ddl che riguarda il fine vita. Nella lettera, inviata alla senatrice Giulia Bongiorno e al senatore Francesco Zaffini, dopo aver ricordato i ritardi accumulati nell’esame del ddl 104, “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita”, si sottolinea come, nonostante il ddl sia inserito in calendario a Palazzo Madama, il suo iter sia ancora fermo alla fase delle audizioni.

Per questo le opposizioni chiedono ai presidenti delle commissioni “che l’iter del ddl n. 104 venga considerato prioritario, anche prevedendo la convocazione di sedute supplementari, ove necessario, affinché l’esame possa concludersi con celerità, per poi consentirne il tempestivo approdo in Assemblea”. I firmatari della lettera, Alfredo Bazoli, Sandra Zampa, Ilaria Cucchi, Ada, Lopreiato, Tino Magni, Orfeo Mazzella, Daniela Sbrollini, Luigi Spagnolli, Ivan Scalfarotto e Julia Unterberger, stigmatizzano “l’atteggiamento della maggioranza che pare abbia invece deciso di utilizzare la fase delle audizioni in maniera del tutto strumentale, al solo scopo di procrastinare sine die la data di approdo in Assemblea del disegno di legge” e ribadiscono “la richiesta di procedere senza ulteriori ritardi e strumentali rallentamenti, all’esame del ddl n. 104, organizzando i lavori delle Commissioni in modo da garantirne al più presto l’esame da parte dell’Aula”. 

Sul fine vita si è pronunciata anche la Corte Costituzionale. Per la Consulta, nella “perdurante assenza di una legge che regoli la materia, i requisiti per l’accesso al suicidio assistito restano quelli stabiliti dalla sentenza n. 242 del 2019, compresa la dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale, il cui significato deve però essere correttamente interpretato in conformità alla ratio sottostante a quella sentenza. Tutti questi requisiti – irreversibilità della patologia, presenza di sofferenze fisiche o psicologiche che il paziente reputa intollerabili, dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale, capacità del paziente di prendere decisioni libere e consapevoli – devono essere accertati dal servizio sanitario nazionale, con le modalità procedurali stabilite in quella sentenza.

La Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Gip di Firenze sull’articolo 580 del codice penale, che miravano a estendere l’area della non punibilità del suicidio assistito oltre i confini stabiliti dalla Corte con la precedente sentenza del 2019. E ha precisato che “la nozione di trattamenti di sostegno vitale deve essere interpretata dal servizio sanitario nazionale e dai giudici comuni in conformità alla ratio della sentenza n. 242 del 2019”.

Questa sentenza “si basa sul riconoscimento del diritto fondamentale del paziente a rifiutare ogni trattamento sanitario praticato sul proprio corpo, indipendentemente dal suo grado di complessità tecnica e di invasività. La nozione include quindi anche procedure – quali, ad esempio, l’evacuazione manuale, l’inserimento di cateteri o l’aspirazione del muco dalle vie bronchiali – normalmente compiute da personale sanitario, ma che possono essere apprese anche da familiari o ‘caregivers’ che assistono il paziente, sempre che la loro interruzione determini prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo”. Una tematica quella del fine vita che ha innescato anche il braccio di ferro tra il governo e la Regione Emilia Romagna.

Le regole operative che l’Emilia-Romagna si è data a febbraio per sopperire a un vuoto normativo e ad una pronuncia della Corte costituzionale hanno scatenato il ricorso al Tar. L’esecutivo, presidenza del Consiglio e ministero della Salute, hanno fatto ricorso al giudice amministrativo per bloccare le delibere della Giunta che individuavano, fra le altre cose, le linee guida per le aziende sanitarie locali, con iter e tempi per le eventuali richieste di suicidio medicalmente assistito.

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