Lia Pipitone rivive nel progetto per aiutare le vittime di mafia nel percorso lavorativo

Il 23 settembre di 41 anni fa la giovane uccisa per essersi ribellata al padre. La rete di imprese “RI.Nasci” aiuta le donne nel suo ricordo.

Palermo – È il 23 settembre 1983 e Lia Pipitone, giovane ventiquattrenne, bella, solare e piena di vita, entra in una sanitaria all’Arenella, in via Papa Sergio, in cui va spesso. Ma quello è il suo ultimo giorno. All’improvviso entrano due uomini che nel tentativo di rapinare la cassa le sparano. Lia viene colpita e muore sul colpo, in una calda mattina di fine estate. Ma la verità è che non si tratta di una rapina finita male, quegli uomini l’hanno seguita: il loro obiettivo non è la cassa del negozio, ma Lia. Il giorno dopo l’assassinio, Simone Di Trapani, il migliore amico di Lia, viene ritrovato morto sotto il balcone di casa sua.

Agli occhi degli inquirenti sembra subito un suicidio ma, secondo quanto riferito dal collaboratore di giustizia Angelo Fontana, anche in questo caso, due killer di Cosa Nostra inscenarono una terribile messinscena: simularono un suicidio, scaraventando Simone dal quarto piano del palazzo in cui abitava, in piazza Generale Cascino, non prima però di averlo obbligato a scrivere un messaggio: “Mi uccido per amore”. Sono passati 41 anni dalla morte di Rosalia Pipitone, per tutti Lia. Figlia di Antonino Pipitone, boss del quartiere popolare dell’Acquasanta e uomo di Totò Riina. A 10 anni rimane orfana di madre e da allora crescerà con suo padre e sua zia. Con il passare degli anni comincia a capire chi è davvero suo padre e inizia a ribellarsi.

Lia Pipitone e suo figlio

Il boss prova a rinchiuderla in casa, ma Lia invece, qualche anno più tardi, fugge da casa con il fidanzato Gero, un ragazzo conosciuto a scuola. Una vera e propria fuitina. I due ragazzi riescono anche a sposarsi, nonostante Gero venga minacciato da alcuni boss locali, dietro ordine del papà di Lia. Da quell’amore giovane e ribelle nasce un bambino, Alessio, amato e desiderato dai due neo-genitori. Intanto però suo padre non si dà pace, continua a cercarla per costringerla a tornare a Palermo dove, secondo lui, deve stare. Il padre padrone riesce nel suo intento, le rende la vita impossibile e la ragazza si separa anche dal marito. Per il boss è un disonore. La situazione precipita quando Lia frequenta un lontano cugino, Simone Di Trapani, che diventa il suo migliore amico, ma nel quartiere si mormora che i due giovani abbiano una relazione extraconiugale.

“Meglio una figlia morta che separata”, ripete spesso il padre Antonino che non sopporta che sua figlia è troppo libera e ribelle per fare la donna di mafia, per essere la figlia del boss dell’Arenella. Ecco che allora la storia della presunta relazione extraconiugale diviene subito un pretesto, falso, messo in giro ad arte nel quartiere e in Cosa Nostra per giustificare un’azione punitiva nei confronti di Lia. La ragazza viene giustiziata e la stessa sorte toccherà a Di Trapani. Oggi, a distanza di 41 anni la memoria di Lia rivive nel progetto Ri.Nasci che non è solo un’opportunità, ma una speranza reale per tante donne che hanno vissuto l’oppressione e la violenza. L’assessore regionale alle Attività produttive, Edy Tamajo, partecipando alla presentazione della rete di imprese “RI.Nasci” (Noi Autonome Sicure Coraggiose Indipendenti), nel Centro anti violenza Lia Pipitone di Palermo, ha raccontato il progetto.

Un’immagine di Lia con il marito Gero

Lo scorso anno, “grazie alla collaborazione con l’assessorato comunale alle Politiche sociali, siamo riusciti a integrare cinque ragazze vittime di mafia in percorsi lavorativi, un successo che ci incoraggia a fare ancora di più. Anche quest’anno non mancherà il sostegno delle istituzioni. Come assessorato abbiamo svolto un’attività d’intercessione tra le associazioni e le aziende siciliane, che hanno ben risposto, dando la loro disponibilità su temi occupazionali così importanti”. Il progetto, presentato proprio nel giorno dell’anniversario dell’omicidio mafioso di Lia Pipitone, attraverso la collaborazione tra pubblico e privato punta a creare percorsi di autonomia lavorativa per le donne vittime di violenza.

“Lia Pipitone è stata uccisa il 23 settembre di 41 anni fa dietro l’autorizzazione del padre, un anno dopo l’approvazione della legge che ha introdotto nel nostro Paese il reato di mafia, in una società che conviveva con un sistema criminale perverso, sostenuto dall’accettazione culturale della stragrande maggioranza“, ha detto il presidente della commissione Antimafia all’Ars, Antonello Cracolici. “Uccisa senza darle l’onore della morte, ufficialmente per una rapina andata male – che però difficilmente poteva verificarsi in quella borgata – oggi la sua storia è un simbolo di riscatto da quel patriarcato e a lei è intitolato un centro antiviolenza grazie al ricordo che si trasforma in memoria e in impegno collettivo“, ha concluso.

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