Il rapporto Draghi sulla competitività Ue e la sfida di Meloni sulla transizione green

Il premier a Confindustria: “D’accordo sulla necessità di investimenti e risorse per gli ambiziosi obiettivi ambientali dell’Europa”.

Roma – L’ex premier Mario Draghi ha presentato a Bruxelles un rapporto sulla competitività europea che indica che “il fabbisogno finanziario necessario all’Ue per raggiungere i suoi obiettivi è enorme”. E per raggiungere tali obiettivi “sono necessari almeno 750-800 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi annui, secondo le ultime stime della Commissione, pari al 4,4-4,7% del Pil dell’Ue nel 2023”, scrive l’ex premier. “Per fare un paragone – si legge ancora nel report – gli investimenti del Piano Marshall nel periodo 1948-51 equivalevano all’1-2% del Pil dell’Ue”. “L’Europa agisca o sarà una lenta agonia”, il suo monito.

Per questo la premier Giorgia Meloni nel giorno dell’assemblea 2024 di Confindustria a Roma, ha incontrato Draghi a Palazzo Chigi. Era stato il premier a lanciargli l’invito, durante un colloquio telefonico, per un confronto sul report. “Come correttamente ha sottolineato Mario Draghi – ha chiarito il premier davanti agli industriali -, gli ambiziosi obiettivi ambientali dell’Europa devono essere accompagnati da investimenti e risorse adeguati, da un piano coerente per raggiungerli, altrimenti è inevitabile che la transizione energetica e ambientale vada a scapito della competitività e della crescita. Anche questa è una cosa che mi sono permessa di far notare varie volte in pensieri europei, e cioè che non ha molto senso dotarsi di alcune strategie e poi non creare gli strumenti per realizzare quelle strategie”.

“La transizione green – ha spiegato ancora Meloni – deve essere fondata sul principio di neutralità tecnologica. Quante battaglie abbiamo combattuto negli ultimi due anni anche con Confindustria. Abbiamo bisogno di tutte le tecnologie per trasformare l’economia da lineare in circolare. E tutte le tecnologie utili alla transizione devono essere prese in considerazione, quelle in uso, quelle che sperimentiamo e quelle che dobbiamo ancora scoprire: le rinnovabili ma anche gas, biocarburanti, idrogeno, la cattura di anidride carbonica, senza dimenticare il nucleare e la grande prospettiva di produrre, in un futuro non così lontano, energia pulita e illimitata dal nucleare da fusione. Siamo la patria di Enrico Fermi, se non lo facciamo noi chi lo deve fare… Non siamo secondi a nessuno”. 

Secondo quanto mette nero su bianco Draghi nel suo rapporto, “L’Ue sta entrando nel primo periodo della sua storia recente in cui la crescita non sarà sostenuta dall’aumento della popolazione, ma per decarbonizzare e digitalizzare l’economia servirà un aumento di investimenti del 5 per cento del Pil, come negli anni ’60-’70”, ricorda Draghi. “Entro il 2040, si prevede che la forza lavoro si ridurrà di quasi 2 milioni di unita’ all’anno. Dovremo puntare maggiormente sulla produttività per guidare la crescita. Se l’Ue dovesse mantenere il suo tasso medio di crescita della produttività dal 2015, sarebbe sufficiente solamente a mantenere il Pil costante fino al 2050, in un momento in cui l’Ue si trova ad affrontare una serie di nuovi investimenti che dovranno essere finanziati attraverso una crescita più elevata”, secondo l’ex premier.

E se “l’Europa non riesce a diventare più produttiva, – ammonisce – saremo costretti a scegliere. Non saremo in grado di diventare contemporaneamente leader nelle nuove tecnologie, faro della responsabilità climatica e attore indipendente sulla scena mondiale. Non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale. Dovremo ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni. È una sfida esistenziale”, osserva l’ex premier. Ecco perché occorre “colmare il divario tecnologico con Cina e Stati Uniti. Il problema non è che l’Europa manchi di idee o di ambizione. Abbiamo molti ricercatori e imprenditori di talento che depositano brevetti. Ma l’innovazione è bloccata nella fase successiva: non riusciamo a tradurre l’innovazione in commercializzazione e le aziende innovative che vogliono crescere in Europa sono ostacolate in ogni fase da normative incoerenti e restrittive”.

Di conseguenza, “molti imprenditori europei preferiscono chiedere finanziamenti ai venture capitalist statunitensi e scalare sul mercato Usa. Tra il 2008 e il 2021, quasi il 30 per cento degli ‘unicorni’ fondati in Europa – startup che hanno superato il miliardo di dollari di valore – ha trasferito la propria sede all’estero, la maggior parte negli Stati Uniti. Con il mondo in procinto di una rivoluzione dell’intelligenza artificiale, l’Europa non può permettersi di rimanere bloccata nelle ‘tecnologie e industrie di mezzo’ del secolo scorso. Dobbiamo sbloccare il nostro potenziale innovativo. Questo sara’ fondamentale non solo per essere leader nelle nuove tecnologie, ma anche per integrare l’IA nelle nostre industrie esistenti in modo che possano rimanere all’avanguardia”, dice la prefazione del rapporto.

Alle imprese il premier, per questa importante sfida, ha proposto “di vederci da subito perché c’è tanto lavoro da fare, cerchiamo di organizzare prima possibile. Avrete un confronto leale e regole certe, su questo avrete la massima garanzia. Non andremo sempre d’accordo ma la penseremo sempre allo stesso modo su un punto: l’Italia può ancora stupire e dimostrare al mondo quanto vale. Per farlo dobbiamo lavorare insieme”. 

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