Allarme peste suina: in Liguria 3 nuovi casi, preoccupazione nel Pavese e a Piacenza

L’assessore Beduschi: “Malattia subdola e contagiosa. Attualmente la PSA interessa ben 14 Paesi europei, dal 2018 problema irrisolto”.

Roma – Preoccupano i vari casi di peste suina africana rilevata in diverse regioni. Sono stati diagnosticati tre nuovi casi in Liguria, dove il totale raggiunge i 1.007 casi. Nessun nuovo caso invece è stato segnalato in Piemonte, dove i positivi rimangono stabili a 662 e nel conteggio è compreso un positivo che era stato riscontrato in allevamento suinicolo. Il totale dei positivi a 1.669. Lo riferisce l’Izs (Istituto zooprofilattico) di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. I tre casi liguri sono stati rilevati tutti in provincia di Genova, uno in città (258 casi totali), uno a Lumarzo (22), uno a Serra Riccò (24). Rimangono stabili in numero a 157 i comuni in cui è stata osservata almeno una positività alla Peste suina africana.

La peste suina africana entra in un altro allevamento della provincia di Pavia: scoperto un focolaio a Santa Cristina e Bissone. La situazione sul territorio si fa sempre più preoccupante. Intanto Regione Lombardia stanzia ulteriori fondi per le aziende colpite. La situazione in Lombardia e nelle zone circostanti si fa sempre più critica. I dati mostrano un’espansione preoccupante del virus, che ha colpito numerosi allevamenti in diverse province, come Pavia e Milano. L’ultimo focolaio individuato a Santa Cristina, con circa 700 maiali da abbattere, evidenzia la gravità della situazione, con un totale di 13.489 animali abbattuti finora a causa dell’epidemia.

Si tratta del quarto allevamento colpito in provincia di Pavia nel giro di pochi giorni dopo Torrevecchia Pia, Mortara e Gambolò. Le misure di biosicurezza sembrano essere state rispettate negli allevamenti, ma il contagio potrebbe essere stato causato da altri vettori oltre ai cinghiali, come la contaminazione tramite attrezzature, alimenti o automezzi. L’indagine epidemiologica, condotta dalle autorità sanitarie e veterinarie, è cruciale per determinare la causa precisa della diffusione e per prevenire ulteriori casi. In risposta all’emergenza, sono state istituite aree di protezione e sorveglianza. La zona di protezione include i comuni entro tre chilometri dai focolai, mentre quella di sorveglianza copre un raggio di dieci chilometri. Queste zone mirano a limitare la movimentazione dei suini e a monitorare attentamente la situazione per evitare ulteriori contaminazioni.

La Lombardia sta anche considerando azioni legali contro chi potrebbe aver contribuito alla diffusione del virus o ostacolato le misure di contenimento. Questo ulteriore passo potrebbe servire a garantire che tutti i soggetti coinvolti rispondano alle proprie responsabilità e a migliorare la gestione della crisi. L’assessore all’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste Alessandro Beduschi sottolinea che “la lotta contro questa malattia subdola e contagiosa per i suini è difficile. Attualmente la PSA interessa ben 14 Paesi europei. Anche in contesti come quello cinese, con risorse finanziarie superiori alle nostre, dal 2018 la malattia è un problema irrisolto”. “Servono ora più che mai – conclude Beduschi – attenzione e comportamenti corretti negli allevamenti e contemporaneamente potenziamento delle attività di contenimento dei cinghiali e di rimozione delle carcasse infette, per cui servirà attivare il massimo sforzo”.

Alessandro Beduschi

Allarme anche a Piacenza, dopo il caso che ha colpito un allevamento a Pontedellolio, dove sono stati abbattuti 773 capi. Intanto nel quinto incontro della Cabina di Regia provinciale sull’emergenza peste suina africana nella sala Consiglio della Provincia è emerso che in provincia di Piacenza scatterà la zona di restrizione 3. Una limitazione che quindi avrà ripercussioni su tutta l’economia piacentina, limitando l’export dei prodotti della filiera suinicola realizzati nella zona interessata, i cui confini al momento non sono ancora stati ben definiti, ma sicuramente non comprenderanno il solo Comune di Pontedellolio.

Il dramma della peste suina è stata una Spada di Damocleper un anno e mezzo – sulla testa del commissario straordinario per l’emergenza, Vincenzo Caputo, che si è dimesso a fine luglio. Venne nominato dal Governo nel dicembre del 2022 al posto di Angelo Ferrari, dopo le polemiche per l’inefficienza della recinzione che avrebbe dovuto contenere il virus. Arrivato, nel frattempo in provincia di Parma, nel cuore del settore suinicolo italiano. Caputo, al momento dell’insediamento, aveva promesso di estirpare la peste suina nel giro di 36 mesi. Ma non è stato così.

Vincenzo Caputo

“Ho deciso io di lasciare l’incarico – aveva spiegato Caputo alla Stampa – perché sono già troppo oberato di impegni con il mio incarico di direttore dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Marche e dell’Umbria, centro di referenza nazionale per la pesta suina. Un incarico, quello di commissario, che si è rivelato troppo impegnativo. Resterò in carica fino al 31 luglio”. Bilancio della sua esperienza? “Diciamo che abbiamo posto le basi per un cantiere che spero in futuro possa migliorare ancora. Ci sono zone del territorio interessato dalla PSA che si sono rivelate un modello nel contenimento, come Alessandria, e altre che devono ancora organizzarsi al meglio”, aveva aggiunto.

Allora il ministro della Salute, Orazio Schillaci, e il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, nel prendere atto delle dimissioni di Vincenzo Caputo dall’incarico di Commissario straordinario alla Peste suina africana per motivi personali, gli avevano espresso “gratitudine per il prezioso lavoro svolto nel porre in essere azioni di contrasto al fenomeno della peste suina in collaborazione con i ministeri competenti, le Regioni e le Associazioni imprenditoriali e di tutela dell’ambiente”. Allo stesso tempo avevano confermato “la piena operatività della struttura commissariale“.

Una protesta di Greenpeace Italia

Simona Savini, della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia, sottolinea che il “governo ha scelto di contenere il virus puntando essenzialmente sulla caccia al cinghiale, con l’obiettivo di dimezzarne la densità di popolazione, sebbene in altri Paesi europei questa strategia si fosse già rivelata fallimentare. Di fatto la relazione del gruppo di esperti della Commissione Europea, che a luglio ha visitato le zone infette, evidenzia un quadro allarmante di errori strategici e di mancanze nella gestione dell’epidemia, chiedendo all’Italia un sostanziale cambio di approccio, meno basato sulla caccia e più sul contenimento geografico dei cinghiali portatori del virus”. Nonostante le “indicazioni degli esperti andassero fin dall’inizio in un’altra direzione, il governo ha scelto di assecondare le pressioni del mondo venatorio e delle associazioni di categoria come Coldiretti e Confagricoltura, finendo così per non tutelare neanche gli stessi allevatori che oggi sono, di fatto, ancora più a rischio”, conclude Savini. 

Dalla sua diffusione a oggi, il virus non si è mai fermato e, anzi, la zona interessata si è ulteriormente allargata: nel solo Nord Italia la zona soggetta a restrizione è passata in due anni e mezzo dai 500 km² iniziali ai circa 18 mila km² di oggi, come ha spiegato Vittorio Guberti, veterinario dell’ISPRA e tra i massimi esperti europei sul tema. “Con un’area infetta così ampia, peraltro confinante con zone ad alta concentrazione di allevamenti intensivi, il rischio di contagio dei domestici e di trasmissione da un allevamento all’altro rimane elevato”.

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