L'Ingegnere è tornato alla ribalta delle cronache politiche dopo il suo esordio sulla patrimoniale "sociale". Adesso ci ritenta col "Domani" ma vota no al referendum e prevede la caduta del Governo con l'ennesimo flop del Pd alle amministrative.
Milano – Politica e insider trading, editoria e giustizia sono i campi di battaglia che hanno visto Carlo De Benedetti in azione. Innanzitutto il rapporto dell’ingegnere con la giustizia italiana che l’ha visto vincere, praticamente, sempre. E se non vince lo salva la prescrizione, piuttosto che una tempistica fortunata. Ultimo caso, quello per elusione fiscale contestata al gruppo Espresso-Repubblica per certi fatti del 1991. La società era stata condannata a pagare una sanzione tributaria enorme, equivalente a 388 milioni. Una cifra che, anni fa, avrebbe potuto mettere in ginocchio il gruppo Espresso indebitato.
A forza di rinvii sono passati 26 anni e, alla vigilia della Cassazione, avvocati e Fisco hanno trovato un accordo per 175 milioni. Ora, però, che l’Ingegnere si è dimesso, e che il gruppo si chiama Gedi dopo la fusione societaria con Stampa e Secolo XIX, e che non ha più debiti, il bilancio li potrà assorbire senza altri guai. Primi anni ‘90 arriva il ciclone Tangentopoli, quando De Benedetti – allora numero uno dell’Olivetti – rimane indagato per corruzione su forniture pubbliche. Interrogato dal pool Mani Pulite, veniva addirittura arrestato il 31 ottobre 1993 per ordine del Gip romano Augusta Iannini, che ne firmava però anche la scarcerazione dalla sezione isolamento di Regina Coeli dopo solo 13 ore di detenzione. Un record assoluto rimasto imbattuto.
In ogni caso l’intero procedimento – che riguardava tra l’altro telescriventi Olivetti definite obsolete dallo stesso indagato – è finito nel nulla per prescrizione. Cinque anni dopo veniva assolto in Cassazione dall’accusa di bancarotta nel fallimento del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, dopo una condanna in secondo grado a 8 anni. De Benedetti aveva acquistato il 2% dell’istituto ed era diventato vicepresidente del Banco, ma dopo soli due mesi rivendeva le quote e se la svignava con una plusvalenza miliardaria, poco prima del fallimento. La condanna fu cassata per motivi processuali. Si passa poi al 1999 quando l’Ingegnere torna in tribunale per Olivetti, questa volta con l’accusa di falso in bilancio: ricavi gonfiati nel periodo ‘94-96. Il procedimento si conclude con un patteggiamento per tre mesi di reclusione e un risarcimento.
Una “condanna” che però veniva revocata nel 2003, dopo la revisione del reato di falso in bilancio varata dal governo Berlusconi. Nel gennaio 2015 De Benedetti querelava per diffamazione il numero uno della Pirelli, Marco Tronchetti Provera, che gli aveva ricordato una serie di disavventure del passato. La disputa si concludeva nello stesso anno con l’assoluzione di Tronchetti. In positivo e in sede civile, al gruppo Cir della famiglia De Benedetti arrivava invece il super risarcimento legato al Lodo Mondadori. Una cifra determinata nel 2013, dopo varie sentenze, in 494 milioni che proprio il gruppo Fininvest di Berlusconi aveva versato alla Cir in difficoltà. Indicativa la storia di Sorgenia, società elettrica fondata dalla Cir ma finanziata soprattutto dalle banche e dal socio austriaco Verbund, finita sull’orlo del fallimento con un buco nell’ordine del miliardo. Dovendo ricapitalizzarla aveva preferito lasciarla alle banche. E buona notte al secchio.
Una delle grandi passioni dell’Ingegnere è il trading: comprare, vendere e guadagnare. Questa spasmodica ricerca di informazioni lo ha portato vicino al reato di insider trading. Esiste infatti un patteggiamento vecchio di vent’anni, con una multa di 50 milioni di lire, per operazioni su titoli Olivetti. Mentre non si sono più avute notizie di un’inchiesta aperta due anni fa sia alla Consob, sia in Procura a Roma, su un possibile caso di insider nel trading delle banche popolari nell’imminenza della trasformazione in Spa decisa dal governo Renzi a inizio 2015.
Adesso De Benedetti è elettrizzato dalle elezioni amministrative di domenica prossima e ne parla come un novello oracolo: “…Se il Pd perde la Toscana, secondo me Zingaretti va a casa – argomenta l’Ingegnere – e dovrebbe dimettersi subito, lo sa anche lui. La colpa è di Renzi, il candidato è un renziano che ha un modesto appeal per la città di Firenze. Fuori, zero. Faccio uno scenario: si perde la Toscana, si perde la Puglia. Il governo sta su? Ma neanche un attimo…”.
Con queste parole Carlo De Benedetti, ospite di Otto e Mezzo, si è sbilanciato sull’esito dell’agone politico. L’imprenditore ha già votato tramite “posta” per il referendum settembrino: “...Ho votato no. In questo paese – ha concluso De Benedetti – credo ci sia un gravissimo problema, respingere le competenze. Guardate cos’è successo al piano Colao, finito in un cassetto. Colao doveva salvare il Paese, doveva diventare ministro… Io sono molto preoccupato per il Recovery Fund. A Bruxelles si aspettano programmi, anche con cadenza settimanale, non enunciazioni di principio. In questo paese facciamo vincere i mediocri, c’è un’opposizione ideologica ai Draghi e di Colao. Questo Parlamento non voterà mai Draghi presidente della Repubblica...”.
De Benedetti prima parla di “patrimoniale” poi torna a scommettersi sull’editoria con il suo nuovo quotidiano “Domani“, diretto da Stefano Feltri e disponibile in edicola da pochi giorni. Sulla vicenda sanitaria di Silvio Berlusconi si limita a rispondere: “Auguri“, dopo le recenti polemiche legate alla sua frase pronunciata di recente a commento del ricovero del Cavaliere: “…Gli faccio i miei auguri ma resta un grande imbroglione…“. Che coraggio.