Uno dei delitti di genere più rivoltanti specie per le modalità in cui si è consumato. Rimangono tanti i sospetti, non riconosciuti dal magistrato giudicante, che l'omicidio sia stato compiuto con premeditazione certosina. Forse il Pm potrebbe appellarsi alla sentenza della Corte d'Appello.
Azzanello – Nella mattinata del 20 agosto 2018 veniva ritrovato, nella vasca dei liquami della vecchia e disabitata cascina Bramano, il corpo senza vita di Manuela Bailo. Il cadavere, pieno di larve e vermi e ricoperto di stracci, era stato riconosciuto dai familiari solo per la presenza di un piccolo tatuaggio a forma di cuore e di un braccialetto, tanto era in avanzato stato di decomposizione. La giovane trentacinquenne, impiegata al Caf Uil di Brescia, era uscita dalla propria abitazione di Nave per andare a Rivoltella, sul lago di Garda, nel tardo pomeriggio del 28 luglio. Da allora nessuno l’aveva più vista, né sentita se non con sei messaggi telefonici indirizzati ai suoi familiari, l’ultimo dei quali alle 21.51 del 30 luglio. Messaggi che però familiari e amici non ritenevano scritti da lei in quanto non rispecchiavano il suo stile di scrittura.
Della donna rimangono le immagini del sabato pomeriggio, prima della scomparsa, riprese dalle telecamere installate nella sua abitazione che divideva con l’ex fidanzato Matteo Sandri, nonostante la loro relazione fosse finita da un paio d’anni. Manuela, pensierosa, toglieva gli abiti dallo stendibiancheria e li infilava in un borsone perché avrebbe trascorso il fine settimana presso la casa di famiglia sul lago, dove però non arriverà mai. Uscita di casa verso le 17.30, le telecamere di videosorveglianza inquadravano la sua Opel grigia metallizzata durante il percorso da Nave a Brescia. L’ultimo fotogramma la riprendeva nei paraggi di via Triumplina, zona nord della città.
In realtà aveva un appuntamento con Fabrizio Pasini, 48 anni, sposato e con due figli adolescenti, impiegato come lei alla Uil di Brescia. Ma di quella relazione clandestina che andava avanti da tre anni nessuno sapeva nulla o, per lo meno, non si doveva sapere nulla. La Opel Corsa della donna rimaneva in via Arimanno, sulla via per Ospitaletto. Dopo un aperitivo nei paraggi, i due raggiungevano l’abitazione della madre di lui, in via Allende, che era libera.
Le telecamere dei vicini, all’1.56, riprendevano Manuela che accompagnava Fabrizio all’ospedale Civile per una presunta frattura al costato, che l’uomo dirà di essersi procurato perché aveva inciampato. Alle 3.57 la coppia veniva ripresa mentre rientrava ad Ospitaletto. Queste saranno le ultime immagini della donna ancora viva. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, infatti, tra le quattro e le sei l’uomo tramortiva la sua amante tra il garage e il bagno di servizio, per poi sgozzarla con un coltello che non verrà mai ritrovato. Alle sei le telecamere riprendevano Pasini che, a torso nudo, saliva sulla sua Mitsubishi per rientrare dalla moglie, dopo averle fatto credere di aver trascorso tutto quel tempo con un amico. Manca l’ultimo atto: alle 11.35 del 30 luglio le celle di un ripetitore localizzavano il cellulare dell’ex sindacalista già nel cremonese, con il cadavere di Manuela nel bagagliaio della Mitsubishi, chiuso in due sacchi neri della spazzatura e pronto per essere scaricato in cascina. Anche i giorni successivi, l’auto era transitata diverse volte sotto gli stessi portali, per assicurarsi che tutto procedesse secondo i piani, in vista dell’imminente partenza per le vacanze con la famiglia ad Alghero prevista per il 2 agosto.
Prima di partire Pasini veniva interrogato in quanto persona che conosceva la collega e di cui la famiglia ne aveva denunciato la scomparsa il primo agosto. L’uomo dichiarava che la relazione con la donna era finita da un anno e che non la sentiva da giorni. Nel frattempo gli investigatori passavano al setaccio la vita dell’impiegata e i sospetti si concentravano sempre più su Fabrizio, tanto da emettere un decreto di perquisizione. La polizia lo attendeva sotto casa, non appena rientrato dalla Sardegna. Dopo un estenuante interrogatorio l’omicida confessava svelando anche il luogo dove si trovava il cadavere della povera vittima. Non ammetteva però di averle reciso la carotide ma solo di averle dato una lieve spinta che l’avrebbe fatta precipitare dalle scale che portano al seminterrato a seguito di un litigio. Tuttavia l’autopsia rivelava che Manuela era morta per shock emorragico secondario dovuto al profondo taglio alla gola e il luminol non aveva rinvenuto alcuna traccia di sangue sulle scale dove, secondo Pasini, si sarebbe consumata la tragica fatalità.
All’amante della donna è stato concesso il procedimento con rito abbreviato che, ricordiamo, è divenuto inapplicabile ai femminicidi commessi dopo l’entrata in vigore della legge del 19 luglio 2019, n.69. Durante il processo Pasini ha ritoccato la sua versione dei fatti sulla dinamica e sul motivo del litigio: la leggera spinta sulle spalle è diventata ”con due mani, forte” e la discussione si era accesa non più per i nomi dei figli che l’uomo si era tatuato, ma “perché mi pressava, voleva stare a dormire, ma io non potevo”. Il Pm Francesco Milanesi, il 31 gennaio 2020, ha presentato al tribunale di Brescia la richiesta a 30 anni di reclusione per l’imputato, ovvero il massimo della pena. Eppure il 28 febbraio, il giudice del tribunale di Brescia Riccardo Moreschi, ha condannato in primo grado Fabrizio Pasini a 16 anni di carcere per omicidio e occultamento di cadavere ma non ha riconosciuto l’aggravante della premeditazione, dimezzando così la pena. Sentenza che ha lasciato l’amaro in bocca ai familiari e che ha sorpreso lo stesso Pubblico ministero. L’assassino è stato condannato a risarcire con 100 mila euro ciascuno i genitori di Manuela, 50 mila per il fratello Marco e la sorella Arianna e 10 mila per la Uil che si era costituita parte civile.
Il Gup Moreschi ha motivato la condanna in 134 pagine, riconoscendo le cruente modalità di esecuzione dell’omicidio e il successivo occultamento di cadavere come un delitto d’impeto. Eppure il sospetto che Fabrizio avesse aspettato l’occasione giusta per agire avendo a disposizione la casa della madre ad Ospitaletto e che avesse preso tempo per nascondere il corpo della trentacinquenne inviando all’ex fidanzato, ai parenti e ai colleghi messaggi per far credere che fosse ancora in vita, rimane molto forte.
Vale così poco la vita di una donna illusa dalle menzogne di un uomo che voleva mantenere una doppia vita e che, trasformatasi ormai in un ostacolo, è stata scannata viva e gettata in una vasca di liquami, nella speranza che quel putridume in cui era immersa consumasse il suo corpo mentre lui era in vacanza? Entro i prossimi mesi e con la ripresa dei processi e delle udienze a seguito della pandemia, saranno depositate le motivazioni e il Pm potrebbe decidere di impugnare la sentenza in Corte d’Appello. Chissà.