Sono sempre di più i boss e affiliati alla mafia latitanti arrestati da Finanza e Carabinieri durante i controlli anti contagio.
Per tre anni è sfuggito all’arresto rifugiandosi tra il Belgio e la Calabria, ma alla fine a fregarlo è stato il Covid-19. Giuseppe Cozzolino, 52 anni, originario di Cosenza, con precedenti per traffico di droga, è stato arrestato dai militari della Guardia di Finanza di Modica, in provincia di Ragusa, dopo un fermo avvenuto nell’ambito dei controlli sul rispetto delle misure anti Coronavirus. Cozzolino stava viaggiando a bordo di un’auto con targa straniera in una strada provinciale che collega i Comuni di Modica e Scicli, in compagnia di un giovane del posto. Nel corso dei controlli, le Fiamme Gialle, sono risalite all’identità dell’uomo scoprendo che Giuseppe Cozzolino risultava latitante da tre anni. Era ricercato perché condannato a 9 mesi di reclusione per atti persecutori, sentenza emessa dal Tribunale di Pistoia. Ma come è arrivato in Sicilia in un periodo di controlli così serrati? Come ha fatto ad oltrepassare lo stretto senza essere fermato? Un interrogativo a cui le forze dell’ordine stanno cercando di dare risposte con la collaborazione del latitante il quale ha raccontato di essere arrivato in provincia di Ragusa alcuni giorni fa dalla Calabria, ma prima ancora era stato in Belgio dove ha lavorato per qualche tempo. Tutta da chiarire la posizione del giovane di 22 anni trovato in macchina con Giuseppe Cozzolino.
Dalla perquisizione domiciliare effettuata dalle Fiamme Gialle, è emerso, infatti, che il ragusano ha dato ospitalità al latitante calabrese. Il giovane, tra l’altro, era arrivato dalla Germania il 22 marzo e, per tale motivo, era stato posto in isolamento fiduciario. Al momento il 22enne è stato deferito a piede libero per aver violato il divieto di allontanamento dalla propria abitazione ma gli inquirenti indagano per ricostruire i suoi movimenti e cercare di capire per quale motivo ha dato ospitalità ad un latitante. Per Giuseppe Cozzolino, invece, è scattato l’arresto; il 52enne si trova adesso rinchiuso nel carcere di Ragusa in regime di isolamento e sorveglianza sanitaria.
Il Coronavirus sta rendendo la vita difficile anche ai latitanti. In questo ultimo mese sono stati diversi gli arresti, alcuni anche eccellenti, di persone ricercate dalle forze dell’ordine. È il caso di Cesare Antonio Cordì, esponente di spicco della ‘ndrangheta di Locri, arrestato il 13 marzo scorso a Bruzzano Zeffirio, in provincia di Reggio Calabria, nel corso dell’operazione messa a segno dai carabinieri delle Compagnie di Bianco e Locri, con l’ausilio allo squadrone eliportato “Cacciatori d’Aspromonte“. Il boss mafioso, latitante dallo scorso agosto, da quando cioè è riuscito a sfuggire all’operazione «Riscatto» che ha decimato il suo clan, è stato incastrato grazie alle norme anti contagio. A tradire Cordì sono stati i movimenti di una persona incaricata di rifornirlo, movimenti che le forze dell’ordine, grazie alle misure anti Covid-19, hanno potuto seguire con più facilità. Il boss si trovava all’interno di una villetta di una piccola contrada di Bruzzano, che, a quanto risultava alla polizia, era disabitata. Nei confronti di Cordì è stato emesso un provvedimento di custodia detentiva poiché indagato per trasferimento fraudolento di valori, aggravato perché commesso al fine di agevolare l’associazione mafiosa: per eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, aveva attribuito alla moglie la titolarità formale di un esercizio commerciale. Cesare Antonio Cordì è figlio di Antonio, detto “’u ragiuneri”, noto boss di Locri, arrestato nel 1997 e condannato all’ergastolo. È morto in carcere nel 2007.