Gli scandali più delle buche hanno indebolito le fondamenta del tessuto sociale restituendo ai cittadini una metropoli sempre più invivibile e depauperata.
La storia della città eterna repubblicana si compie nella latitanza irresponsabile di tutti i partiti, che hanno fatto, nel migliore dei casi, come nei set cinematografici di Cinecittà dei tempi d’oro: solo la facciata dignitosa, dietro i vermi. Come nascondere la sporcizia sotto al tappeto di casa. Tutti, nessuno escluso, dal dopoguerra in poi, hanno fatto esplodere il debito, senza un livello minimo accettabile di servizi.
La “maledizione di Roma” è che nessun partito ha mai espresso personaggi di livello nazionale, solo mezze figure, che sorridevano a tutti senza fare nulla, a parte far crescere il debito. Oggi invece i vertici litigano, aumentando i compensi. Nomi importanti di sindaci usati come zerbini, come il grande Giulio Carlo Argan, che era all’oscuro dei piani dei palazzinari, l’unico vero programma politico postbellico di Roma.
Prima Petroselli, persona pulita di borgata, pugile di cuore, chiamato “Joe Banana” per il viso modellato dai montanti. Il suo impegno, come peraltro quello dell’antagonista Sbardella, era concentrato nelle borgate, costruite sotto il livello del Tevere, come la Magliana che si allagava costantemente. Petroselli coerentemente credeva nelle costruzioni del realismo socialista, (il famigerato Laurentino 38, dove la polizia non poteva entrare), perché l’operaio di massa, predestinato a guidare la società, doveva solo lavorare in fabbrica e dormire, senza alcun fronzolo di servizio, quali parcheggi, negozi, viabilità, sanità, istruzione. I marciapiedi erano decadenza borghese, come la segnaletica. Sulla stessa scia il calabrese Vetere, tutto borgate. Poi, finite le borgate, la politica autoreferenziale arrogante degli anonimi Signorello e Giubilo. Poi Franco Carraro (prendiamola sportivamente), praticamente il nulla: nessuno se ne è accorto.
Il “Clintonismo” di Rutelli e il “Kennedismo” di Veltroni. Affari d’oro per i palazzinari, l’ennesimo sacco di Roma, deciso nei circoli dei sportivi dei potenti. Rutelli e Veltroni capiscono che la borgata non li vota e allora il colpo di genio: trasformano una porzione del centro storico grande come un paese in un salottino. Fumo negli occhi, mentre dieci metri più in là c’è la fogna a cielo aperto. La sinistra e i cattolici democratici al cachemire sostengono lo spot pubblicitario. Nella notte dei lunghi coltelli si consuma una lotta di potere ferocissima, dove, nonostante il sorriso buonista, non viene rispettata la vita di impegno sociale e politico. Denunce, l’amministratore della Margherita sotto processo, si apre il vaso di Pandora. Quelli che facevano anticamera fricchettona da Craxi, come Rutelli, Testa e molti altri, diventano il nuovo “establishment”, con incarichi da capogiro in strutture inventate come Multiservizi SpA o Federculture, che nessuno conosce e che gestisce le nomine dei presunti manager culturali. Oppure Consorzi Metro. Nuovi nomi per la promozione turistica che, prendono cento miliardi di lire senza produrre nulla. Si gioca a Monopoli. Poi chi è rimasto fuori, come Alemanno, si presenta e vince: stessa storia infarcita di un apparato di sottopotere che minaccia e taglieggia. Senza fare inutile moralismo, il problema di Roma, da sempre, è che altrove in Italia e in Europa ci sono le mazzette ed è una questione della magistratura. La differenza è che altrove, anche se i dirigenti rubano, le strutture tendenzialmente funzionano. Ma gli italiani non si sono mai fatti ricoverare in un ospedale a Nizza, Parigi, Londra, Berlino o Dublino. Vedrebbero la differenza stratosferica che c’è, mentre ci infarciscono di balle spaziali sull’eccellenza sanitaria italiana.
Veltroni lancia il piano Marshall per le buche, in una conferenza stampa esulta “stanziati 8 milioni di euro per le buche di Roma”. Non bastano nemmeno per una sola via consolare come la Prenestina o la Tiburtina, nell’area cittadina. I mondiali ’90 sono l’apice mai toccato dalla magistratura della distruzione di Roma con opere dannose, non solo inutili. La stazione di Vigna Clara morta, il parcheggio Ostiense non usato per un ventennio e da rottamare dopo tre anni. Il muretto su viale Trastevere, per separare le corsie degli autobus dalle auto, senza segnaletica o vernice riflettente, dove centinaia di cittadini hanno distrutto auto. Soldi buttati nelle tasche dei soliti noti.
Su Via Tiburtina, altezza tangenziale, direzione fuori Roma, ci sono due strade veloci quasi parallele, con due semafori attaccati, uno con il verde e l’altro con il rosso. L’incidente è la normalità. Basta osservare le frenate all’ultimo istante dell’automobilista sotto shock che in buona fede ha sbagliato il proprio semaforo, confuso con quello vicino.
In Corso Francia, altezza Viale Parioli, si imbocca un senso unico con la segnaletica che non si vede. Mi si è parata a 100 all’ora un’auto contromano con il conducente terrorizzato che non si era reso conto. Vivi per miracolo tutti e due. A San Paolo, verso via Ostiense, ci sono due corsie obbligate, quella alla destra del guidatore nel senso di marcia è contromano, il cartello non si vede. Quella corretta è a sinistra, contrariamente alla guida a destra, senza indicazioni segnaletiche visibili. Ogni giorno una macchina imbocca la corsia sbagliata nel terrore di tutti. Questo mentre si consuma lo show mediatico forense sui morti di Corso Francia, con gli inopportuni interventi di Palombelli (mente di Rutelli) sull’adolescenza che cerca la morte. Non si può parlare solo di buche e strisce pedonali, quando l’assenza di responsabilità a tutti i livelli imperversa. Siamo cresciuti su una strada senza regole, palestra di irresponsabilità. Non ci “scappa il morto” per caso alla maggior parte degli incroci. Da troppi decenni il governo del bene pubblico si fonda solo sulla scaramanzia.