In Italia è sempre più diffusa la pratica del turismo dentale. Veri e propri esodi sanitari colpiscono la nostra nazione. Ma è realmente conveniente partire per curarsi? Quali sono i rischi che si corrono?
La crisi economica che ormai da anni sovrasta l’Europa non è, e non può essere, circoscritta unicamente al campo lavorativo. La crisi è qualcosa di organico alla collettività, è totale, è sinonimo di arretratezza sociale, di disgregazione umana. La crisi costringe la maggior parte delle persone, si sentano escluse dunque le classi privilegiate, a determinate rinunce, a ponderare ogni investimento, ogni spesa non contemplata. Ma cosa intendiamo per essenziale e cosa no? Che cos’è discrezionale e cosa fondamentale? Qual è la linea di demarcazione? Il diritto alla salute, ad esempio, in che categoria rientra? Ancor più nello specifico, la realtà odontoiatrica non dovrebbe essere, almeno teoricamente, di comune fruizione? In Italia sembrerebbe di no. Nella nostra penisola il rapporto tra gli italiani e i dentisti sembra irreversibilmente danneggiato. Già nel 2013 l’Istat annunciava come rispetto al 2005 la quota di popolazione che durante l’anno si era rivolta ad un dentista o all’ortodontista fosse diminuita del 2%, mentre contemporaneamente aumentava la porzione di persone che preferivano dilazionare le visite in un arco temporale più lungo, solitamente da 1 a 3 anni. Continuando a scorrere i dati dell’Istat emerge che per l’85% della popolazione over 14 che si rifiuta di sottoporsi a cure dentistiche la motivazione economica è pregnante. Che cos’è la crisi, dunque, se non privazione e autodistruzione?
A volte, però, il dolore che possono procurare i problemi dentali è talmente lancinante che l’amor proprio prende il sopravvento rispetto alle ristrettezze economiche, e la sedia dell’odontoiatra diventa il posto maggiormente desiderato al mondo.
Per tale regione – oltre a fenomeni come la moneta unica, la crisi e le liberalizzazioni – circa 300.000 italiani si sono mossi per farsi curare i denti fuori dal confine nazionale, cedendo al fascino del cosiddetto turismo dentale. “Il turismo dentale – spiega Mario (nome di fantasia), dentista del Sud Italia – è una prassi che hanno adottato molti italiani facenti pare del ceto medio basso, l’obiettivo è quello di risparmiare, e per farlo in molti sono disposti anche a viaggiare per molti chilometri. Se da una parte c’è una convenienza in termini di costi, non è altrettanto sicuro che in termini biologici ci sia altrettanto guadagno. Sebbene nel corso degli anni questa pratica ha raggiunto standard elevati, i rischi, in termini biologici non sono totalmente scomparsi, causa, in particolar modo, l’invasività di alcune operazioni.”
Il mercato unico ha certamente contribuito a creare le condizioni favorevoli per questo tipo di fenomeno. Nei paesi dell’Est o dell’ex Jugoslavia – in particolar modo in Croazia e in Slovenia – negli ultimi anni sono sorte una moltitudine di cliniche odontoiatriche cui pazienti principali sono proprio gli italiani. Attraverso veri e propri pacchetti viaggi alcuni centri propongono ai pazienti anche il trasporto, l’alloggio, e vere e proprie gite turistiche per la città. Il prezzo per le operazioni odontoiatriche è nettamente inferiore rispetto a quello italiano: un impianto dentale standard fuori dall’Italia costa circa 800 euro, dentro i confini della penisola può arrivare a costare anche tre volte tanto. Questi “esodi” sanitari dovrebbero far riflettere sulla necessità di introdurre un radicale mutamento nella prassi odontoiatrica, totalmente in mano al privato, ed escludente per antonomasia. La quasi totale privatizzazione di questo campo della medicina, con conseguenziale estraniazione d’importanti strati della società dal diritto alle cure, ha, di fatto, portato molti italiani e scegliere l’alternativa più scomoda, ma più economica: partire per curarsi – il che riecheggia abbastanza triste ed emblematico se consideriamo che la scuola odontoiatrica italiana è una delle migliori al mondo. Ma quali sono, dunque, le principali ragioni per cui esiste una tale discrepanza economica? Mario, con estrema pacatezza, spiega come oltre ad una sostanziale politica di imposte molto più favorevole rispetto all’Italia, uno dei principali metodi di guadagno di questi centri odontoiatrici è da ricercare proprio nella forza lavoro, spesso inesperta e bisognosa di pratica, quindi, sottopagata. “Il problema vero è che l’ortodonzia sta diventando sempre più un commercio, il corpo umano viene concepito come un oggetto, come una macchina, e questo fa perdere la reale concezione del pericolo ti talune operazioni invasive. Io, ad esempio, sono andato a Bucarest per fare pratica, senza perciò percepire lo stipendio. Non avevo mai messo un impianto, ho messo i primi lì. La cosa triste era che i pazienti vedevano in me il Dottore che li avrebbe salvati, colui a cui affidarsi. Io invece ero alla prima esperienza, e per quanto fossi assistito da tutor, spesso mi trovavo solo. Logicamente chi si reca lì per curarsi queste dietrologie le ignora.”
Il pensiero di Mario si conclude con una riflessione sul mutamento del mondo dell’ortodonzia e sulle sue cause. “La necessità d’apparire; il bombardamento pubblicitario; l’etica stessa di questa società dei consumi. Tutti questi fattori hanno spinto molte persone a prendere decisioni affrettate. In più, la mancanza di una degna sanità odontoiatrica pubblica, oltre all’ascesa delle grandi aziende odontoiatriche, ha contribuito in maniera importante a fomentare tale fenomeno.”
Proprio l’introduzione della liberalizzazione pubblicitaria all’interno del campo medico privato ha suscitato non poche perplessità nel mondo accademico, irrigidendo notevolmente le due opposte visioni. Nell’articolo 2 del Decreto-legge 4 luglio, n.233 – meglio conosciuto come “Legge Bersani” – venivano, infatti, introdotti i principi della libera concorrenza – di chiara natura comunitaria -, abrogando, di fatto, lo storico principio di divieto pubblicitario in ambito di sanità privata. Dopo l’introduzione di questa normativa in Italia le promozioni sanitarie estere si sono moltiplicate, e insieme ad esse sono cresciute numericamente anche le catene odontoiatriche nostrane. Molti liberi professionisti, nonché il Movimento Consumatori, hanno risposto con aspre critiche ad offerte promozionali quali “impianti da 1 euro” o il 3×2 sui pazienti, ritenendo che questi messaggi fossero ingannevoli. Sebbene questo sconvolgimento sembrasse giovare alle classi popolari, le quali finalmente potevano godere delle cure dentistiche per prezzi modici, in realtà anche in questo percorso si è rivelato colmo di insidie per i consumatori. Il focus della critica si concentra proprio sulla lotta alla commercializzazione della sanità, sottolineando la differenza che intercorre tra un essere umano e un prodotto industriale. Una piccola vittoria da parte dei liberi professionisti si è avuta con l’approvazione della nuova Legge di Bilancio del 2019. Con tale riforma il Legislatore disciplinava il divieto in campo di promozione pubblicitario “alle strutture sanitarie private di cura” e “agli iscritti agli albi degli Ordini delle professioni sanitarie” di pubblicare “contenuti informativi” recanti messaggi di “carattere suggestivo e promozionale.” Questo provvedimento per quanto in formale contraddizione con la Legge Bersani non ha placato gli animi di molti dentisti italiani. Il carattere ambiguo di questa legge, al contrario, ha dato adito a nuove recriminazioni, ingarbugliando ancor di più una situazione già complessa. Tra i principali esponenti di questo pensiero c’è il Dottor Gilberto Triestino, medico e odontoiatra attivo nella capitale, nonché ideatore della petizione contro le pubblicità ingannevoli, conosciuta come “Petizione Triestino”. “Il fenomeno del Turismo dentale è strettamente legato al discorso sulle pubblicità ingannevoli – spiega il dentista. Il tutto ha avuto origine qualche anno fa con le cosiddette dentiere olandesi, e lentamente si è espanso in tutta Europa. Alla base di questa nuova usanza c’è un discorso unicamente economico, l’illusione del risparmio e la diffusione di un messaggio tremendamente sbagliato: ovvero che i dentisti italiani sono dei ladri. Nel mondo odontoiatrico le cure rapide ed economiche sono una contraddizione in termini, l’impressione è che dietro queste pubblicità ci sia solo l’intenzione di fare cassa. Oltretutto alcune operazioni possono richiedere diverso tempo di degenza, l’immediato viaggio di ritorno e la lontananza del medico possono diventare un problema serio qualora si verificassero ipotetiche complicazioni postoperatorie. Quindi anche il risparmio è estremamente relativo.”
Secondo il dentista romano alla radice del problema c’è l’errata e voluta fumosità di alcuni messaggi pubblicitari, basati su l’ingannevole persuasione della facilità delle operazioni, e foraggiati da una legge contraddittoria e troppo poco efficace. “In Italia, ad esempio – sostiene il Dottor Triestino -, essendo l’estrazione del dente una misura clinicamente irreversibile, il dentista può essere perseguito penalmente se la pratica viene riscontrata come non adeguata al caso. All’estero questo non succede, si sceglie la strada dell’implantologia: più veloce e più conveniente economicamente. È proprio questa mancanza di regole che ha fatto sì che oggi Tirana sia popolata da cliniche gestite da dentisti italiani che hanno preferito lasciare i ferri per imboccare la strada da imprenditori. Il problema nasce proprio nel periodo delle liberalizzazioni: la libertà d’impresa consente di fare speculazione anche nel settore sanitario, in particolare in quello odontoiatrico. Le strutture private che vengono concepire in questo modo sfuggono ai controlli, in quanto sono una figura giuridica non iscritta all’albo professionale e dunque esente da limitazioni. Basta intestare ad un privato cittadino la S.r.l. e il gioco è fatto. Dal momento in cui la sanzione amministrativa comincia a perdersi nei meandri della burocrazia, fino a quando finalmente riuscirà a raggiungere il diretto interessato per la riscossione, la clinica interessata avrà già raddoppiato l’investimento pubblicitario e messo in conto il pagamento di una possibile multa.” Proprio il carattere ambiguo del Def 2019 in merito alla procedura pubblicitaria sanitaria ha creato un buio legislativo: vengono interdetti dal discorso pubblicitario gli esponenti delle strutture private iscritti all’Ordine, ma al medesimo tempo viene confermato il permesso per gli stessi centri di perseverare nella pubblicità, mantenendo la stessa vincolata ad un carattere “informativo” e non “persuasivo”. Ma come può una pubblicità non contenere un messaggio persuasivo ma unicamente informativo, senza, oltretutto, essere questa una contraddizione in termini? Probabilmente le risposte vanno cercate nelle ragioni del libero scambio più che in quelle della razionalità, ultimante non troppo più di moda.
“Credo che sia necessario estendere le regole di deontologia professionale a cui sono soggetti i medici in chiave pubblicitaria anche alle S.r.l. che si occupano dell’informazione sanitaria. Il marketing e il libero scambio non possono sconvolgere la deontologia professionale.”
È abbastanza evidente come le nuove normative non siano riuscite a risolvere i problemi etici e le contraddizioni legislative all’interno del mondo odontoiatrico. Al contrario la struttura normativa in merito a tale fenomeno si manifesta nebulosa, parcellizzata e fortemente suscettibile ad interpretazione. Il bombardamento pubblicitario sta diffondendo nell’immaginario collettivo l’idea che anche sul corpo umano si possano perseguire logiche di profitto. La guerra tra la vecchia “aristocrazia” dentistica e la nuova “borghesia” odontoiatrica appare comunque destinata ad aver sempre e solo un’unica vittima: il ceto medio basso. Il progressivo inglobamento dei piccoli studi privati da parte delle catene dentistiche – con il conseguenziale mutamento del dentista in impiegato dell’azienda odontoiatrica -, sta producendo un sempre più ampio divario tra una sanità odontoiatrica di livello A: escludente e riservata a una piccola porzione della popolazione; e la sanità di livello B: di massa ed economica, fintamente accessibile a tutti, ma che nutre come unico obiettivo quello di aumentare i ricavi, risparmiando o sulla manodopera o sulla qualità dei prodotti. Ancora una volta, dunque, a pagare le conseguenze è la maggioranza, costretta a partire per odisseiche avventure dentistiche o ad affidarsi alle cure di perfetti sconosciuti spesso contattati tramite i social.
Il diritto alla salute, in tutte le sue declinazioni cliniche, dovrebbe essere totalmente salvaguardato e controllato, esente da ingerenze economiche di qualsiasi natura. In conclusione, appare necessario un mutamento d’indirizzo politico, che ponga in primo luogo le necessità dei pazienti e non gli interessi delle lobby vogliose di speculare sul dolore altrui.