L’Italia non è un paese di laureati. Ma siamo sicuri sia solo pigrizia nei confronti dello studio?

Tasse sempre più esose e caro affitti: per uno studente universitario oggi compiere il percorso accademico costa una fortuna. A rischio il mercato del lavoro.

Roma – Che in Italia ci siano pochi laureati, rispetto alla media europea, lo si sa da decenni, ormai. A confermare questa tendenza sono i dati OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), organizzazione internazionale di studi economici per i paesi membri sviluppati, aventi in comune un sistema di governo di tipo democratico ed un’economia di mercato. La percentuale raggiunge il 29,2% di giovani tra i 25 e i 34 anni che hanno un titolo accademico. Nonostante sia complicato districarsi tra i differenti sistemi di formazione dei paesi membri dell’OCSE, è una tendenza che produce allarme e preoccupazione. A maggior ragione, se si considera il tasso d’iscrizione all’istruzione secondaria e terziaria, che è in forte calo tra i 18-19 anni, la fascia d’età in cui si dovrebbe decidere il passaggio dalle scuole superiori all’Università.

Il tasso di iscrizione alle scuole superiori e alle università negli ultimi anni è in calo

Il fenomeno non è apparso all’improvviso, ma è organico alla società italiana. Nella fascia d’età 25-64 anni, dopo il Portogallo, l’Italia ha il più alto numero di persone in possesso solo di studi secondari inferiori, mentre raggiungiamo l’ultimo posto per la formazione terziaria. Oggi, con un mercato del lavoro molto competitivo per cui c’è bisogno di lavoratori altamente qualificati, i nodi stanno venendo al pettine con veemenza. Questo accade per una serie di motivi. Una ricerca della FLC-CGIL, la federazione dei lavoratori della conoscenza del maggior sindacato italiano, ha diffuso un quadro molto dettagliato sui costi che gravano sugli studenti e le loro famiglie per ottenere la laurea.

Dagli anni ’90 le tasse universitarie hanno subito una crescita costante, mentre in altri paesi europei il costo è nettamente inferiore e in alcuni il percorso è gratuito. A questo si aggiunge il “problema casa”, come hanno dimostrato le manifestazioni degli ultimi mesi, evidenziando i costi eccessivi per un posto letto o una stanza. Così il diritto allo studio va a farsi benedire. Ma non sono gli elevati costi a giustificare il fenomeno. Anche i salari e gli stipendi troppo bassi dopo il conseguimento del titolo giocano un ruolo decisivo. Questo dato è esacerbato dalla poca presenza di grandi imprese pronte ad assumere laureati, per cui si preferisce un lavoro meno specializzato e con meno speranze di carriera. Le conseguenze di questo status quo si riversano sul sistema paese nel suo complesso.

Oltre al calo dei laureati, le aziende dovranno fare i conti con l’esodo di tanti giovani all’estero, attratti da retribuzioni più alte e con possibilità di carriera.

Le competenze subiranno un colpo ulteriore, oltre al già deprecabile esodo di tanti laureati all’estero, attratti da retribuzioni più alte e con possibilità di carriera. Questi effetti saranno devastanti per il mercato del lavoro, in quanto il percorso intrapreso è sempre più orientato ad una maggiore specializzazione, mentre la mansioni esecutive stanno per essere sostituite da macchine e algoritmi. Da ciò ne deriva una maggiore richiesta di lavoratori con titoli di studi tecnici, spesso di tipo STEM, le discipline scientifico-tecnologiche. Ma, in Italia, queste professionalità sono carenti, mentre, rispetto al resto d’Europa, sono consistenti i laureati nelle materie umanistiche. Per affrontare un problema del genere, sarebbe necessaria un’analisi seria e profonda, che tenga conto di tutte le problematiche. Inoltre, una politica di lungo periodo, che non si limiti al piccolo cabotaggio e all’ordinaria amministrazione. Ma di una visione di questo tipo non c’è traccia, ahinoi, all’orizzonte!

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