Il lavoro alle prese col nuovo che avanza (a ritmi forsennati)

Un recente focus ha evidenziato la profondità del “gap” tra le competenze richieste dalle aziende e quelle effettivamente in possesso da parte dei lavoratori. Come rimediare?

Roma – Quest’anno, a Milano, si è celebrato il 130° anniversario della Società Umanitaria di Milano, un’istituzione la cui mission è di offrire “sostegno ai diseredati attraverso il lavoro e l’istruzione”. Durante quest’evento si è svolto il “Forum Lavoro”, il cui “focus” è stato il mercato del lavoro e i suoi mutamenti e la specificità strutturale del panorama economico italiano. Un primo impatto di questi stravolgimenti è il gap molto profondo tra le competenze richieste dalle aziende e quelle effettivamente in possesso da parte dei lavoratori.  La formazione sarà decisiva per promuovere nuove competenze, così come un sistema educativo all’altezza del compito.

Ma anche le caratteristiche personali del lavoratore assumono un ruolo fondamentale, soprattutto nelle proprie capacità relazionali, con una maggiore partecipazione al processo organizzativo e innovativo delle aziende. Se queste sono le previsioni, c’è da considerare la particolarità del mercato del lavoro italiano, che è rigido, poco propenso ad assumere giovani, sfavorevole per le donne e con una disuguaglianza territoriale molto accentuata. Inoltre, un tasso di occupazione quasi di 10 punti più basso di quello prefissato e una struttura economica con poca occupazione nei settori ad alta tecnologia. Le nuove generazioni, frattanto, sono in possesso di alta scolarizzazione che, data la situazione, provoca una sottoccupazione giovanile che non ha eguali in Europa.

Un risultato poco produttivo dal punto di vista dell’investimento, il cui effetto più controverso è la fuga all’estero del 15% degli laureati. Come si è visto, la responsabilità maggiore ricade sulla struttura delle imprese. Inoltre sulle medie e piccole aziende che, al contrario, sono lacunose nell’offerta di un’occupazione altamente professionale e innovativa. Come avere una “coperta corta”, che non è in grado di coprirne tutta la superficie: se viene tirata da un lato, una parte rimane sempre scoperta al freddo. A questo punto, si tratterebbe di attuare un “Progetto politico” nel vero senza della parola, che vada oltre l’ordinaria amministrazione.

Innanzitutto, investendo in programmi di sostegno per favorire il passaggio alla nuova realtà. In questa fase si potrebbe attingere alla risorse del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), favorendo il lavoro e la produttività e non rendite di posizione, assistenzialismo parassita e bonus che lasciano il tempo che trovano. Inoltre, investire in formazione e nella scuola, ma anche l’industria deve recitare la sua parte affinché privilegi l’innovazione. Ma con una classe politica il cui principale compito pare essere quello di preparare le liste elettorali per le “europee” dell’anno prossimo, per garantirsi una cadrega sicura, su cui poggiare il proprio lercio deretano, non si può che sprofondare!

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