Che la situazione dei conti relativi alla nostra previdenza sociale fosse messa male, lo si sapeva. Però quando si leggono certe notizie sulle future pensioni, una sorta di inquietudine assale anche chi non è più giovane.
Roma – Qualche giorno prima di ferragosto è stato presentato lo studio “Situazione contributiva e futuro pensionistico dei giovani” a cura del Consiglio Nazionale dei Giovani (CNG) e di EU.R.E.S. Ricerche Economiche e sociali. Il primo è un organo consultivo, a cui è demandata la rappresentanza dei giovani nell’interlocuzione con le istituzioni. Il secondo è un Istituto di ricerca in campo economico, sociale e culturale. E’ emersa una forte preoccupazione per le pensioni di chi inizia a lavorare adesso. Non ci si poteva aspettarci niente di diverso, visto il contesto socio-economico. Siamo di fronte ad una selvaggia precarizzazione, discontinuità lavorativa, assenza di garanzie sociali, stipendi da fame che pesano, soprattutto, su donne e giovani.
Tutto questo non può non incidere sulla futura previdenza. La questione demografica (poche nascite e allungamento della vita) e il sistema “contributivo” costringono i lavoratori a percepire la pensione in età più avanzata, con assegni inferiori rispetto alle generazioni precedenti. Alcuni, addirittura avranno importi appena superiori all’assegno sociale. Secondo alcune stime, un lavoratore con età inferiore ai 35 anni, in pensione a quasi 74 anni, avrebbe un importo di 1577 euro lordi al mese, pari a 1099 netti. Ovvero 3,1 maggiore dell’assegno sociale. Per chi lavora con Partite Iva l’assegno è di poco superiore. A testimonianza della forte distorsione del sistema che provoca disuguaglianze, senza alcuna possibilità di redistribuzione del reddito e punisce coloro con redditi bassi.
Un antico detto partenopeo recita: “Il cane morde sempre lo straccione”. Ovvero il fato si accanisce proprio contro coloro che già conducono una vita parecchio tormentata. Ed, infatti, ‘sti poveri cristi si trovano costretti a lavorare tre o, addirittura, sei anni in più di chi, invece, ha percepito un reddito e una stabilità lavorativa più alti.
Secondo l’Eurostat, l’ufficio europeo di statistica, l’Italia occupa la seconda posizione dietro la Grecia per incidenza della spesa pensionistica sul PIL (Prodotto Interno Lordo), pari al 17,6%. Mentre la media europea è del 13,6%. Inoltre l’OCSE-Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che effettua studi per i Paesi membri aventi in comune un’economia di mercato- ha confermato la stretta relazione tra aumento dell’età pensionabile e allungamento della vita lavorativa. Pare che un giovane che ha iniziato lavorare a 22 anni nel 2020, andrà in pensione a 71 anni. Se ci arriva!
E’ il dato più elevato tra i Paesi europei. A questi aspetti ci sono da aggiungere i divari retributivi tra fasce d’età e tra generi. Con le donne che, come al solito, pagano il prezzo più alto. Secondo gli esperti il modello contributivo potrebbe essere sostenibile se fosse accompagnato da stabilità e crescita contributiva. Due condizioni che nel nostro mercato del lavoro latitano. Il CNG propone l’introduzione di una pensione di garanzia, che possa coprire i periodi di formazione, discontinuità e salari bassi. Inoltre, necessitano riforme strutturali che evitino il rischio di impoverimento di un’ intera generazione e che permettano un accesso duraturo nel mercato del lavoro per garantire un minimo di sostenibilità a un modello previdenziale, fondato sullo scambio generazionale.
E i nostri politici cosa fanno? Sventolano, in Parlamento, il cedolino del proprio stipendio, come ha fatto l’onorevole Piero Fassino del Partito Democratico, gridando ai quattro venti: “4718 euro al mese non sono uno stipendio d’oro”. Dimenticandosi di aggiungere che coi benefit si arriva a 13 mila. Un po’ di vergogna no?