Trentuno anni fa la strage di via D’Amelio

Era un pomeriggio afoso, di quelli che sciolgono l’asfalto, e poco prima delle 17 un’esplosione si porta via il giudice Paolo Borsellino e i suoi 5 poliziotti di scorta. Aveva perso un amico, ma non un amico qualunque, era Giovanni Falcone, il magistrato saltato in aria con la moglie ed i suoi uomini di scorta a Capaci alcune settimane prima. Paolo Borsellino è morto per l’Italia, ma questa é tutta un’altra storia…

Roma – Trentuno anni. Sono tanti? Sono pochi? Sono niente se vivi a Palermo e passi in via D’Amelio all’altezza del civico 21. Lì il tempo si è fermato alle 16 e 59 di una domenica rovente: era il 19 luglio del 1992. L’incedere delle ore, da allora, si è cristallizzato ed è giusto che sia così. Perchè quel pomeriggio, quel balordo pomeriggio, il magistrato Paolo Borsellino è stato fatto saltare in aria insieme ai cinque agenti della scorta.

La mafia, quel cancro maledetto che proprio Borsellino, con il suo amico e collega Giovanni Falcone, morto ammazzato poche settimane prima nella strage di Capaci, avevano combattuto con estrema lucidità e saldezza fino all’ultimo giorno, è riuscita a divincolarsi dalla morsa di “quei” due personaggi scomodi. Due uomini di intralcio che nemmeno Roma è riuscita a tutelare. Tanto per dire.

Trentuno anni, si è detto, sono niente e oggi, come allora, il tempo, le lancette andrebbero fermate, bloccate per comprendere e far comprendere che a volte, per vincere, bisogna perdere. E Borsellino e Falcone lo sapevano bene, così bene da definirsi, più volte, “morti che camminano”. Presagi, dicevano, e invece no, certezze, anticipazioni di cronaca che loro stessi avevano imparato a scrivere, gestire e impaginare. Dagli arresti, indagini e durissime mazzate sui reni di Cosa nostra fino ad arrivare a Capaci e via D’Amelio.

Salvatore Borsellino, fratello di Paolo e fondatore delle Agende Rosse, la sua battaglia la combatte ogni giorno dal 1992 per dare voce a chi non c’è più, ma soprattutto a garanzia del lavoro fatto dal fratello e da Falcone affinché non sia stato uno sforzo inutile. Insomma, un’impresa titanica. La memoria, purtroppo, in certi casi è deliberatamente labile perchè conviene, perchè si sa certe cose è meglio lasciarle in un cassetto a prendere polvere, a farle riposare, renderle innocue. Cazzate, tuona lo stesso sangue di Paolo, perchè:

Salvatore Borsellino

“Dalle istituzioni vogliamo solo verità e giustizia e poi potranno onorare Paolo se lo desiderano – dice Salvatore con parole che sogo pugni nello stomaco – in ogni caso non troveranno posto simboli di morte, corone e cuscini di fiori. Impediremo ipocrite manifestazioni di cordoglio da chi poi fa tutt’altro. Noi non facciamo contestazioni violente: se dovessero presentarsi persone non gradite, diremo la nostra. In via D’Amelio può venire chiunque, l’importante è che si venga come semplici cittadini, non come rappresentanti delle istituzioni. Altrimenti manifesteremo il nostro dissenso, alzando le nostre agende rosse e girandoci di spalle”.

Frasi d’acciaio, forti come le famiglie di chi lavora dal principio per combattere la mafia, perchè hanno compreso, fra le righe del dolore, quanto la voce possa fare la differenza. Osteggiare l’omertà, il cardine delle associazioni a delinquere, è un ruolo centrale in questa battaglia e chi ha preferito il silenzio lo sa. Si sono resi complici di massacri, di imbrogli e poteri sporchi per questo, ora che il tempo è memoria di un giorno nero tra le tante pagine buie marchiate a fuoco dalla piovra, non basta sfilare per le strade con in mano una bandiera. Ma a proposito: che cosa fare se un ministro, nella fattispecie quello della Giustizia, Carlo Nordio, se ne esce fuori con la volontà di mettere mano sul concorso esterno in associazione mafiosa a pochi giorni dalla commemorazione? Bisogna, neanche a dirlo, alzare la voce ed è ancora Salvatore a farlo:

 “Le esternazioni del ministro Nordio, al di là del loro esito, hanno mostrato la volontà di demolire la legislazione pensata da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – ha concluso il fratello del giudice – per dare alle forze dell’ordine, alla magistratura, alla parte sana della società, gli strumenti per combattere la criminalità organizzata“.

Il Premier Meloni con il ministro Nordio

C’è da aggiungere però che anche gli Ermellini, con la sentenza numero 34895 del 2022, avevano già alzato un enorme polverone. La Cassazione, infatti, aveva affermato che possono “farsi rientrare nella nozione di delitti di “criminalità organizzata” solo fattispecie criminose associative, comuni e non, con la conseguenza che devono escludersi dal regime per essi previsti i reati di per sé non associativi, come un omicidio, per quanto commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis del Codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dal suddetto articolo“.

Ecco perchè la Premier Meloni si è vista “costretta”, prendendo le distanze da Nordio proprio sul concorso esterno in associazione mafiosa, a varare al più presto una norma ad hoc che sgombri il campo dai dubbi che possono sorgere dal verdetto della Suprema Corte, stabilendo esattamente che cosa si intende per reati della criminalità organizzata.

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