Dieci i terroristi italiani per cui Parigi ha rifiutato (in via definitiva) l’estradizione. Leggiamo l’identikit di questi killer “protetti” e i loro crimini. Scopriamo i retroscena del clamoroso rifiuto.
Parigi – Stavolta è per sempre: rifiutata l’estradizione di dieci terroristi italiani legati all’area delle Brigate Rosse, che insanguinarono l’Italia degli anni di piombo. Delitti avvenuti ormai quasi 50 anni fa, ma che rappresentano ancora una ferita aperta nel cuore di molti e un terreno importante per le relazioni Italia-Francia. In questo articolo analizzeremo le biografie (e i crimini) di questi latitanti decennali, cosa fanno adesso, e perché la Francia ci tenga tanto a proteggerli.
La cosiddetta dottrina Mitterrand, proposta dall’omonimo presidente francese, prescrive che i rifugiati politici (specialmente italiani) non vengano estradati ai paesi d’origine. Perché? Innanzitutto, la Francia rifiuta i processi fatti in assenza dell’imputato; in secondo luogo, molti processi seguiti agli Anni di Piombo furono frettolosi e poco puntuali, il che diede gioco facile ai francesi per parlare di “vendetta di Stato”.
Fu Macron a riaprire la questione dando il via libera agli arresti; tuttavia, nonostante la pressione del Procuratore di Parigi, la Corte di Cassazione Francese ha negato – per sempre – l’estradizione. Si chiude dunque un capitolo giudiziario di quasi cinquant’anni. Ma come sono andate le vite di quei criminali? Quali i loro crimini e le loro vittime? La pensano ancora come prima?
1. Giorgio Pietrostefani, il “Pietrostalin”
Forse il nome più celebre della lista, in virtù del suo coinvolgimento nell’omicidio Calabresi. Non ha la biografia di un tipico comunista: tennista di talento, architetto laureato, e dopo la fine della militanza politica, una carriera di successo come dirigente all’Eni e la SNAI. Fondò, dopo gli anni da studente, il gruppo Lotta Continua, di cui fu direttore e leader.
Il delitto: Il durissimo, maschilista, implacabile, “Pietrostalin” sarebbe stato, secondo il pentito del pentito Leonardo Marino, il mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi, ma Pietro si dichiara innocente. Secondo Marino, che guidò la macchina utilizzata per l’omicidio, Sofri ebbe l’idea, mentre Pietrostefani si occupò dei dettagli pratici e dell’elaborazione del piano. L’amplissimo eco mediatico del processo spiega lo zelo con cui la giustizia ha tentato di rintracciarlo.
La nuova vita: Rifiutò, più tardi, il fanatismo degli ideali marxisti; dopo il primo arresto, fuggì in Francia, in cui scrisse anche libri. Incontrò il figlio del commissario, Mario Calabresi, in un faccia a faccia su cui entrambi hanno mantenuto il silenzio. Nonno, conduce un vita discreta, quasi sulla soglia degli 80.
2. Narciso Manenti
Un altro dei “pentiti”, il bergamasco rievoca il suo passato di militanza nei Nuclei armati per il contropotere territoriale con vaghezza. Chiaramente non era troppo ideologicamente ferrato neanche all’epoca, e la sua vita successiva è stata un continuo tentativo di dimenticare.
Il delitto: Il suo omicidio è sfortunato e accidentale. Gli uomini dei Nuclei vogliono colpire un medico – Piersandro Gualteroni – che presta servizio nelle carceri, gambizzandolo. Sono in due: peccato che che nello studio del suddetto medico sia venuto, incidentalmente, un carabiniere, Giuseppe Gurrieri. Nel corso dello colluttazione , uno dei due gli spara cinque volte. L’uomo muore sotto gli occhi del figlio.
La vita dopo: Manenti riuscirà a scappare, a differenza del complice che se la caverà dandogli la colpa. In Francia si è sposato, ha messo su famiglia, con tre figli. Si è fatto chiamare “Angelo”. Vive a Châlette-sur-Loing, sulla Loira, in un paradiso verde, lavorando con una azienda di servizi a domicilio. Il suo passato è un incubo lontano: sogna una amnistia generale.
3. Marina Petrella
Famme fatale del brigatismo, entrò nel mondo dell’estremismo rosso nel luogo più insospettabile: un scuola media. In cui risulta lavorassero altre star del terrorismo comunista. Un primo arresto – nonché il matrimonio con un altro brigatista – cementarono la sua reputazione: entrò nella direzione della colonna romana.
I delitti: Qui la lista si allunga: omicidio di un agente di polizia, sequestro di un magistrato, rapina a mano armata. Ma le fu fatale l’accusa di essere coinvolta nel rapimento di Aldo Moro.
La vita dopo: In Francia ebbe un figlio da una ulteriore unione: arrestata sotto il governo Sarkozy, entrò in depressione e sciopero della fame. La mediazione di Valeria Bruni fu fondamentale per fare sì che il governo francese rifiutasse l’estradizione incondizionata. Attualmente, libera con un uccellino, lavora con gli anziani.
4. Roberta Cappelli
Non si sa molto su Roberta Cappelli, se non l’impressionante serie di crimine che le sono valsi la condanna all’ergastolo:
I delitti: Associazione con finalità di terrorismo, concorso in rapina aggravata, concorso in omicidio aggravato, attentato all’incolumità. Tra gli omicidi che le sono stati attribuiti abbiamo Paolo Galvaligi (generale dei carabinieri), Michele Granato (agente di polizia) e il vice questore Sebastiano Vinci.
La vita dopo: Sembra che Roberta lavori nel sociale, nell’ambito dell’aiuto ai bambini disabili.
5. Luigi Bergamin
Un altro nome celebre: fu ideologo dei Proletari Armati per il Comunismo, lo stesso gruppo di Cesare Battisti. Originario di Cittadella, si laureò in economia, per diventare insegnante in un istituto di ragioneria di Melzo.
Il delitto: fu Bergamin la mente dietro Antonio Santoro, commissario di polizia ucciso da Battisti. Definito “delinquente abituale” dalla magistratura (status che impedisce la messa in prescrizione dei suoi reati), a suo carico sono dozzine di reati tra rapina, detenzione illegale di armi, concorso in omicidio. Partecipò alla
La vita dopo: Non è chiaro che mestieri Bergamin abbia praticato a Parigi: ma sebbene arrestato più volte, l’estradizione, come sappiamo, non avvenne mai. Dopo l’ultima tornata di arresti ordinata da Macron tentò una breve fuga, per poi costituirsi.
6. Raffaele Ventura
Detto “Coz”, il varesino avviò la propria militanza politica, giovanissimo, nell’Autonomia Milanese, per poi alzare l’asticella dell’estremismo nelle Formazioni Comuniste Combattenti.
Il delitto: Assieme ad altri otto, Ventura è colpevole in “concorso morale” dell’omicidio del brigadiere Antonio Custra, nel corso di una manifestazione che degenerò in una vera e propria battaglia. L’agente morì, trapassato al cranio da un proiettile di Berretta, lasciando una moglie incinta.
La vita dopo: Ventura è tra coloro che rinnegarono il passato di lotta politica. Si è trasferito in Francia negli anni 80′, per costituirsi in seguito all’operazione Ombre Rosse. Vive a Montreuil, nell’Ile-de-France.
7. Enzo Calvitti
Capo della colonna romana delle BR, fondò il movimento Seconda Posizione in seguito alla scissione delle PR causate dall’omicidio Moro.
Il delitto: 21enne, fu coinvolto nel tentato omicidio di un funzionario di polizia.
La vita dopo: A differenza di altri membri della lista, Calvitti non si pentì mai. La polizia francese trovò in casa sua scritti in cui inneggiava le nuove generazioni di comunisti a riprendere il lavoro delle BR.
8. Maurizio di Marzio
Forse il più giovane membro della lista: ha 60 anni, e 18 la prima volta che commise un atto terroristico. Il più giovane tra i nomi della lista.
Il delitto: Nel 81′, partecipò all’attentato contro Enzo Retrosi, dirigente di un ufficio di collocamento. Nel giorno dell’Epifania del 1982, tentò di rapire, con quattro complici, il vice della digos Nicola Simone: attentato che fallì perché il bersaglio era armato e rispose al fuoco, ferendo un terrorista e rimanendo a sua volta colpito.
La vita dopo: Oggi, Di Marzio fa il ristoratore, e sembra essersi lasciato il passato da militante alle spalle.
9. Sergio Tornaghi
Il delitto: Gli sono imputati i capi d’accusa di banda armata e concorso in omicidio. Tornaghi si è sempre dichiarato innocente, affermando che all’epoca distribuiva solo volantini.
La vita dopo: Tornaghi si è sposato con una donna francese, da cui ha due figlie. Ha aperto una piccola azienda di servizi informatici, per poi lavorare in una cooperativa. Ha 63 anni.
10. Giovanni Alimonti
Il delitto: Anche di Alimonti si sa poco, se non che fu coinvolto nell’omicidio di un vice della Digos e del questore Simone e che è accusato di associazione armata.
La vita dopo: In Francia, Alimonti è stato cameriere, e poi traduttore.
Le reazioni italiane alla mancata estradizione
Dopo decenni, alcuni terroristi si sono ravveduti, mentre altri non hanno abbandonato le idee estremiste di un tempo. Se è vero che di alcuni è persino difficile dimostrare il coinvolgimento effettivo, altri, come la Petrella, sono assassini conclamati. Difficile che un rifiuto così netto all’estradizione non creasse reazioni forti nel Belpaese.
Particolarmente dura la reazione di Riccardo De Corato, Presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera del governo Meloni, che ha inaugurato una targa commemorativa per le vittime del terrorismo rosso:
“È un affronto per le vittime e i familiari delle vittime di questi terroristi che dopo aver strappato persone innocenti all’affetto dei loro cari ora possono godere della libertà e non pagare per i loro misfatti.“
Gli ex brigatisti vogliono dimenticare, ma per molti la ferita è ancora aperta.