Algeri non guarda più verso Parigi, ma verso Roma: La collaborazione tra i due paesi è ormai strategica nel Mediterraneo, sia sul gas che sull’immigrazione. E il merito è tutto di Draghi.
Roma/Algeri – I media francesi lo stanno osservando con crescente disagio: l’Algeria preferisce trattare con noi che con loro. Mentre i rapporti con Parigi si deteriorano, Roma e Algeri siglano trattati su trattati sull’importazione del gas, che mettono l’Italia in testa alla corsa europea per la diversificazione delle fonti energetiche. Cooperazione si estende su immigrazione e industria, con la Fiat che promette stabilimenti in Algeria. La collaborazione sta diventando un’occasione, per l’Italia, acquisire un ruolo di primo piano nei rapporti con il Nordafrica – insomma, finalmente una politica estera di alto livello. L’idea è di Draghi, e il governo Meloni la sta portando avanti con classe.
Partiamo dal principio: la politica estera italiana degli ultimi anni è stata estremamente statica, specialmente riguardo al Nordafrica. Questo è dovuto in parte, senz’altro, allo scivolone della crisi libica, che ha messo una pessima luce sull’affidabilità diplomatica di Roma, che l’instabilità cronica dei governi italiani, che non ha favorito una politica estera coerente. Questo, almeno, finché una crisi internazionale non ci ha costretti in quella direzione.
Stiamo parlando, ovviamente, della crisi ucraina, che nel giro di pochi mesi ha azzerato le importazioni russe, che coprivano il 40% del nostro fabbisogno energetico. L’Europa ha dovuto cominciare a guardare altrove. L’Azerbaijan è stato uno dei primi nuovi fornitori individuati: noi abbiamo scelto l’Algeria.
L’Algeria ha riserve di gas enormi. Primo esportatore africano di gas e petrolio o settimo mondiale. Un paese relativamente stabile, e dotata di un sano revanscismo sui francesi, ex-padrone coloniale con il cattivo vizio di intromettersi negli affari interni delle vecchie colonie. Insomma, una relazione tossica da qui, nonostante i legami storici, Algeri vuole emanciparsi.
Gas ma non solo. Meloni e il “Piano Mattei”
Se dunque Draghi aveva fatto di necessità virtù, trasformando la crisi energetica in un’occasione per rafforzare i legami con i mercati algerini, il governo Meloni sta portando avanti il programma senza esitazione. Il 23 gennaio Eni e Sonatrach, compagnia petrolifera statale dell’Algeria, hanno firmato un accordo che include, tra l’altro, la costruzione di un nuovo gasdotto. detto Galsi (Gasdotto Algeria Sardegna Italia), lungo 284 chilometri. Un progetto ciclopico che taglia completamente fuori la Francia e dà all’Italia un monopolio sul gas nordafricano. Scadenza? Il 2030. Dunque, un piano a lungo termine, che riflette una strategia geopolitica finalmente di ampio respiro e non finalizzata a una spendibilità elettorale immediata.
Ma non è tutto. La collaborazione si sta spiegando anche sul piano di armi, infrastrutture, industria e (forse con un filo di ipocrisia) green. La Fiat intende aprire uno stabilimento in Algeria, usando manodopera, materiali e componenti locali, per produrre 90.000 veicoli l’anno. Il Piano Mattei, insomma, che vuole promuovere una collaborazione coi paesi africani su solide basi economiche. Stabilizzare la regione come soluzione ai flussi migratori, ma non solo: anche creando partner affidabili nel Mediterraneo. Si tratta dell’espansione della NATO verso sud profetizzata da Orsini? Certamente è una espansione dell’Italia, che ambisce a sfruttare la posizione strategica per guidare da leader i rapporti col Sud globale.
Il divorzio tra Parigi e Algeri
Intanto, tra la Francia e l’ex-colonia scorre pessimo sangue. In parte è un discorso naturale: il sentimento antifrancese è una leva elettorale importante in un paese la cui identità nazionale nasce nella guerra d’indipendenza contro Parigi. Sentimento evidentemente ricambiato da Macron, che ha rifiutato di porgere le scuse ad Algeri nel corso di una conversazione con lo scrittore Kamel Daoud.
Una posa orgogliosa, che però non cambia la realtà: il progetto Galsi rischia di essere un concorrente pericolosissimo per l’ambizioso H2Med, gasdotto che dalla Spagna arriverebbe in Germania passando per la Francia. Dunque, l’intesa italo-algerina è un concorrente diretto dei progetti di Parigi. Nell’ambito di una intesa franco-tedesca che non appare più tanto solida, potremmo assistere a un netto ridimensionamento dell’influenza geopolitica francese.
Lezione di realpolitik
Cosa impariamo da questa vicenda? Innanzitutto, il governo Meloni sta dando chiaramente mostra di non avere imbarazzo a trattare coi dittatori. La lezione di Gheddafi (che scaricammo, con conseguenze disastrose) è ancora lì: meglio trattare con un governo autoritario ma compiacente piuttosto che avere una “situazione siriana” alle porte di casa.
L’Algeria non è la Korea del Nord, ma – diciamolo chiaramente – non è propriamente una democrazia. I meccanismi elettorali sono inquinati, i giornalisti vengono perseguitati, il presidente Tebboune ha modi autoritari. Parigi, indubbiamente nel giusto, ha dato asilo politico alla giornalista d’opposizione Amira Bouraoui, bloccando l’estradizione dalla Tunisia. Scelta che ha portato a un ulteriore inasprimento dei rapporti – con tanto di convocazione dell’ambasciatore algerino da Parigi.
Il governo Meloni fa invece capire che il rispetto dei diritti umani non deve ostacolare una politica estera decisa. Nessun imbarazzo nel trattare con Libia, Egitto, Arabia Saudita – figurarsi l’Algeria. L’evoluzione democratica, se ci sarà, deve venire col tempo. In un quadro geopolitico sempre più teso e conflittuale, i paradigmi ideologici devono venire dopo le questioni di interesse pratico. E finalmente lo abbiamo capito.