Sono almeno 40 anni che si ripete a menadito il refrain secondo cui “il rilancio economico dell’Italia passa dal Sud”.
Roma – Ma se non è stato effettuato nemmeno il… lancio, come si può parlare di rilancio? A parte questo, i dati nazionali, all’1 gennaio 2022, ci informano, ad esempio, che le pensioni erogate sono maggiori degli occupati di 205mila unità. Dove però la forbice si allarga, com’era prevedibile, è nel Mezzogiorno del paese, dove le pensioni sono 1,244 milioni in più di salari o stipendi.
Al Centro-Nord invece (prevedibile anche questo), a parte Marche, Liguria e Umbria, i lavoratori attivi, anche se non di molto, sono in numero maggiore dei pensionati. A diffondere questi dati è stato l’Ufficio Studi della CGIA (Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato) di Mestre. Non c’è una regione meridionale che non presenti un numero di lavoratori più basso dei pensionati! In un certo senso conferma il luogo comune di un Sud assistenzialistico e un Nord produttivo.
In… cima a questa spiacevole classifica trionfa la Campania, seguita da Calabria e Sicilia. Sarà un caso, ma si tratta delle Regioni dove tre organizzazioni criminali tra le più efferate e potenti dal punto di vista economico e finanziario, fanno il bello e cattivo tempo, ovvero camorra, ‘ndrangheta e mafia. Al Nord lo scenario è completamente capovolto: i lavoratori sono più dei pensionati. Le regioni più “virtuose” risultano Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna e, a seguire, tutte le altre, con qualche sparuta “maglia nera” rappresentata da città come Biella, Savona e Genova.
Al Sud, sono emerse anche due “mosche bianche”: Ragusa e Cagliari. Secondo gli studiosi dei fenomeni sociali, uno dei fattori principali di questo evidente divario è la crescente denatalità, che da almeno 30 anni sta mutando la struttura sociale del Paese. Ci troviamo di fronte, infatti, a un forte rallentamento numerico della popolazione in età di lavoro e, al contempo, una crescita degli Over 65. E’ da segnalare che i dati riferiti al Meridione sono, sicuramente, sottodimensionati. Infatti, ci sono oltre 1,7 milioni di occupati che, pur in pensione, decidono volontariamente di lavorare. Non ci è dato di sapere se per le pensioni troppo basse o perché non riescono a organizzare la loro vita senza un lavoro!
E’ chiaro che una società sempre più vecchia e con meno lavoratori, comporta seri problemi per il welfare state. La spesa pensionistica è in continua crescita, così come quella farmaceutica e per le attività di cura e assistenza alle persone. Inoltre, potrebbero subire contraccolpi il mercato immobiliare dei trasporti, della moda e quello ricettivo. Al contrario, le banche potrebbero avvantaggiarsene, in quanto gli “anziani” pare che manifestino una maggiore propensione al risparmio. A questo si associa una grossa difficoltà per le aziende di reclutare sia personale altamente qualificato sia di bassa qualifica. Per i primi, il deficit è dovuto allo scarso numero di laureati con titoli di studio “spendibili” sul mercato”.
Per i secondi, sembra che ci sia il diniego da parte di molti connazionali di accettare lavori di questo tipo e nemmeno la presenza di cittadini stranieri riesce a soddisfare la richiesta. Proprio una bella “gatta da pelare”, non c’è che dire!