L’ex compagno l’avrebbe perseguitata perché non intendeva porre fine alla loro relazione malata e aggravata dalla tossicodipendenza dell’uomo, per altro sposato. In un primo tempo si era creduto ad un morte naturale ma pare che la povera donna sia stata uccisa.
Bologna – Non si trattava di morte naturale ma di omicidio. Kristina Gallo, 30 anni, è stata uccisa e a toglierle la vita sarebbe stato il suo fidanzato Giuseppe Cappello, 44 anni, sposato. Ne è certa la Procura felsinea, rappresentata dal Procuratore aggiunto Francesco Caleca e dal sostituto Stefano Dambruoso, che hanno chiesto il rinvio a giudizio dell’uomo per omicidio aggravato da stalking per fatti costituenti reato che vanno dal 2016 al 2019.
La vittima era stata rinvenuta cadavere sotto il letto della sua abitazione di via Andrea da Faenza, il 26 marzo del 2019, dal fratello che avvisava subito dopo gli inutili soccorsi ed i carabinieri. Di primo acchito si era pensato ad un malore, di origine cardiaca, dunque ad una morte naturale ma la tenacia degli investigatori, in particolare del Ris di Parma e della Polposta, portava ad una conclusione diversa e ben più drammatica: femminicidio. Kristina era stata soffocata e poi abbandonata in casa in compagnia del suo cane che è rimasto accanto alla padrona sino al rinvenimento del corpo senza vita.
Dopo verifiche biologiche, comparazioni di Dna e, soprattutto, a seguito dell’analisi di seimila file audio, chat ed sms, cancellati da Pc e telefono in uso all’ex fidanzato della vittima e ritrovati dagli esperti dei carabinieri, gli investigatori risalivano al presunto assassino già indagato per stalking. Il 29 luglio scorso, infatti, i magistrati inquirenti Caleca e Dambruoso chiedevano e ottenevano un ordine di custodia cautelare in carcere per Giuseppe Cappello, che si è sempre dichiarato innocente e che tale rimane sino ad eventuale sentenza di condanna definitiva.
I difensori dell’uomo, di contro, chiedevano e non ottenevano dal tribunale del Riesame la restrizione ai domiciliari per “grave patologia”. Cappello rimaneva dunque in cella e il 12 dicembre prossimo si svolgerà la preliminare con il Gup Sandro Pecorella per decidere il rinvio a giudizio:
”…Con una custodia cautelare in atto – spiegano gli avvocati difensori Gabriele Bordoni e Alessandra Di Gianvincenzo – la richiesta della Procura era imprescindibile e attesa. Ci difenderemo in quella sede e restiamo fermamente convinti che la ragazza sia morta per cause naturali, come scrisse il primo consulente del Pm che non rilevò i segni tipici di sofferenza polmonare…”.
“Ti porto con me fino alla morte” gridava Cappello a Kristina quando lei gli diceva che era finita e che non lo amava più. Ma lui rincarava la dose: ”Queste parole le rimpiangerai, credimi” rispondeva Cappello alla giovane donna che gli rinfacciava di avere perso tre anni dietro un tossicomane ammogliato. Poi tutto un susseguirsi di violenze gratuite nei riguardi di Kristina che era stata privata anche di avere contatti con i familiari e la figlioletta oltre che costretta, per giunta, ad indossare vestiti “che ne esaltassero la femminilità“.
Fino all’atto estremo, l’assassinio. Nell’atto giudiziario trascritto dal Gip Roberta Dioguardi, che aveva ordinato l’arresto di Cappello, si legge tutta la tragedia vissuta dalla donna prima della sua morte. Tre anni di martirio vissuti come in un film dell’orrore:
”…Perdurante assoluta condizione di soggezione e paura per la propria incolumità…Fino a uno stato di – segregazione morale – Tra le condotte che hanno contribuito a rafforzare l’accusa di atti persecutori, oltre a quella di omicidio aggravato, vi è la testimonianza di numerose persone che affermano come Gallo abbia dovuto licenziarsi per non incorrere nelle ire dell’indagato, ossessionato dalle frequentazioni con i colleghi maschi della sala scommesse dove la donna era impiegata…”.
…Gallo era stata ripetutamente privata per lunghi periodi dell’uso di telefoni cellulari che sistematicamente Cappello sottraeva alla vittima distruggendoli…Almeno uno di questi apparecchi sarebbero poi stati rinvenuti nelle disponibilità di alcuni spacciatori, con i quali lo stesso indagato aveva frequenti contatti…”.
Quando poi Kristina decideva di non vederlo più ecco che Cappello, per tutta risposta, l’avrebbe tempestata di telefonate ad ogni ora del giorno e della notte. Telefonate per altro registrate da un’applicazione che l’indagato avrebbe installato sul suo telefonino. Il ritrovamento di altri indizi sulla scena del crimine come le chiavi dell’auto di Cappello ed alcune siringhe di insulina, compatibili con il tipo usato dall’indagato che soffre di diabete, avrebbero poi chiuso il cerchio.