Conflitto aperto e dichiarato fra due o più Stati, o in genere fra gruppi organizzati, etnici, sociali, religiosi condotto con l’impiego di mezzi militari. È la definizione della parola guerra. Una parola che fa tremare. Terre e polsi.
Roma – Vladimir Putin alcune settimane fa, ha pronunciato per la prima volta la parola guerra dall’inizio delle ostilità in Ucraina. Oggi, sentendola, pensiamo subito a quel conflitto, che sta calamitando comprensibilmente l’attenzione dei media e di gran parte della popolazione mondiale. I rischi geopolitici che potrebbero scaturire dal conflitto sono elevati, così come le ripercussioni economiche che stiamo subendo ogni mese, peregrinando tra esercizi commerciali e pagamento delle gabelle energetiche.
Il coinvolgimento e la vicinanza geografica possono giustificare solo in parte quello che è un atteggiamento spesso di superficialità quando non di genuino menefreghismo nei confronti di frizioni belliche in corso in altre aree del Pianeta.
Aree forse meno conosciute, meno esotiche, meno importanti sulla carta. Riguardano Paesi poco patrocinati e serenamente “ignorabili” da istituzioni e Governi, i cui destini si giocano su tavoli spogli e remoti, coperti solo dal sangue di guerre violentissime e durature.
La conta dei conflitti attualmente in corso è lunga. Il numero non è preciso, quello più attendibile, fornito da Armed conflict location & Event data project (Acled), organizzazione che si occupa di raccogliere dati non aggregati per monitorare i conflitti, conta 59 guerre nel mondo. La maggior parte delle quali va avanti da anni, provocando migliaia di morti. Silenti. Tra queste 59, ne abbiamo scelte 5 per noi molto significative:
1 – Etiopia/Tigrai
Nella seconda nazione più popolosa dell’Africa, il conflitto è iniziato a novembre 2020, tra il Governo federale e il Fronte di Liberazione del Popolo del Tigrai (TPLF), che ha guidato l’Etiopia per 30 anni fino all’elezione del Primo Ministro Abiy Ahmed nel 2018. Due anni dopo, il bilancio è tremendo: mezzo milione di morti e devastazione nella regione, che conta circa 6 milioni di abitanti. Un bilancio “ottimistico”, dato che la chiusura verso l’esterno ha impedito miglior contezza della situazione. Nemmeno a dirlo, ci sono gravi carenze di cibo e medicinali oltre a elettricità con il contagocce. Tantissime persone sono a un passo dalla carestia. Le speranze di pace sono tutt’altro che intense, data l’eterogeneità in un Paese di 120 milioni di persone e la presenza di altre zone teatro di scontri.
2 – Yemen
Più a oriente, sul fondo della Penisola arabica c’è uno Stato in guerra dal 2015, benché in realtà si possa considerare il 2011 come reale inizio delle belligeranze. Sono infatti le celebri “primavere arabe” ad accendere la miccia nello Stato più povero della Penisola e del mondo. Nel 2015 c’è la presa di potere degli Houthi, che rovesciano il Governo di Abdrabbuh Mansour Hadi, che aveva ricevuto il comando dalle mani di Abdullah Saleh, primo presidente da quando il Paese è stato riunificato nel 1990. Gli Houthi raccolgono gli sciiti del Paese e man mano controllano parte di esso. L’intervento dell’Arabia Saudita, Stato artificiale sunnita wahabita, fa precipitare la situazione. Ne segue una strage dove a rimetterci sono, come sempre, i più deboli. Tra il marzo 2015 e il 30 settembre 2022 sono stati 3.774 i bambini morti a causa della guerra. Mentre 7.245 sono quelli rimasti feriti. L’arma più letale: le mine antiuomo.
3 – Congo
L’Africa è un continente che rischia seriamente di essere travolto da una guerra su larga scala che può destabilizzarlo per intero. La situazione nella Repubblica Democratica del Congo infatti, paese più ricco di materie prime al mondo, è grave. L’esercito ribelle degli M23, gruppo formato principalmente da guerriglieri tutsi e sostenuto dal Ruanda, dopo 10 anni di tregua ha ripreso gli attacchi conquistando la regione mineraria del Nord Kivu. Il loro movente è la richiesta di maggiori diritti per la minoranza tutsi in Congo.
Il timore della comunità internazionale è di assistere a una replica dell’atroce mattanza occorsa nel 1994 con il genocidio del Ruanda, quando vennero sterminate circa 1 milione di persone. Più che un timore pare essere una realtà, visto che negli ultimi 20 anni ci sono stati 6 milioni di morti. Il governo di Kinshasa ha accusato quello di Kigali di supportare gli insorti. Ciò che rende la situazione ancor più esplosiva è dato dal fatto che sul territorio congolese ci sono giacimenti di cassiterite e coltan, minerali vitali per i produttori di dispositivi elettronici e nanotecnologie. Ivi pertanto convergono gli interessi delle principali potenze mondiali: Cina, Stati Uniti, Gran Bretagna e Russia. Il rischio è quindi quello di un conflitto esteso come quello che prese piede dal 1998 al 2003.
4 – Burkina Faso
Nel medesimo continente giace il Burkina Faso, ex Alto Volta, Stato dell’Africa Occidentale con una superficie di poco inferiore a quella italiana, che sta vivendo una delle peggiori crisi umanitarie al mondo. A gennaio un colpo di Stato ha messo il Paese nelle mani di una giunta militare guidata dal colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba. Non che le cose prima fossero una fiaba, anzi. Con il presidente destituito, Christian, erano severissime le limitazioni alla vita sociale (Internet e social controllati dallo Stato e chiusi ad usum delphini) e i giovani avevano organizzato insurrezioni e proteste. Vera piaga del paese è però la violenza jihadista, in cui il Paese è immerso da 7 anni. Molti gli attacchi terroristici. L’ultimo, avvenuto l’11 giugno scorso ha fatto registrare 90 vittime civili più molti rapiti e probabilmente giustiziati. Dal 2005 i morti sarebbero oltre 2.000, gli sfollati 1,9 milioni. Attualmente sono attive 6 cellule nell’area: 5 seguaci di Al Qaeda e 1 dell’Isis. A tutto ciò si aggiunge la terribile siccità che aggrava la malnutrizione delle fasce più vulnerabili della popolazione. Secondo una stima le persone che soffrono di malnutrizione sono circa 3,4 milioni su una popolazione di 21.
5 – Myanmar
Ci trasferiamo nel Sud-Est asiatico. Il Myanmar, o Birmania, è in piena guerra civile nata dal colpo di Stato del 2021, che ha riportato il Paese sotto il Governo militare. Nel 2015 si sono tenute le prime elezioni dopo la scarcerazione di Aung San Suu Kyi. I militari sono rimasti molto presenti nella vita del Paese sino alle elezioni 2020, vinte ancora da Suu Kyi e dalla sua Lega Nazionale per la Democrazia (NLD). Ma i militari, approfittando dal caos generato dalla pandemia, hanno ideato ed messo in atto un colpo di Stato, riaffermando il loro controllo sul Paese. Il popolo è sceso in piazza, sfidando i militari. Ne è sorta una repressione violentissima sfociata poi in guerra civile con la People’s Defence Force (PDF) quale unico contraltare ai militari. I soldati continuano nei loro attacchi ai villaggi chiave per le forze del PDF e il numero di morti e sfollati cresce di continuo. Di questi ultimi dall’inizio del conflitto se ne contano 1,3 milioni. Nel frattempo l’ex leader Aung San Suu Kyi è stata arrestata nuovamente: accusata in modo sommario e parecchio discutibile di frode e di aver violato le norme anti-Covid, Suu Kyi è stata sottoposta a svariati processi a porte chiuse. Ammontano a 26 gli anni totali di condanna per lei. L’ultima è di 4 anni, diventati in seguito 7, è notizia di pochi giorni fa, che comporterebbe un suo rilascio (condizionale più che d’obbligo in questo caso) ben oltre il termine delle elezioni previste per il 2023, mettendola de facto fuori gioco e facendo salire a 33 gli anni complessivi della sua detenzione.
Sperando che il 2023 veda la riduzione di questo maledetto 59, approfittiamo per augurare a tutti i nostri lettori un felice anno nuovo, scevro da conflitti e violenze.