Due anziani deceduti, un uomo di 84 anni e una donna di 87 anni: entrambi avevano condizioni di salute già compromessa.
Roma – Il virus West Nile continua a colpire il Lazio, con altre due vittime registrate, portando il totale dei decessi a 12. Un uomo di 84 anni, residente a Latina e affetto da leucemia linfatica, è morto il 10 agosto all’ospedale Santa Maria Goretti, dove la positività al virus è stata confermata post-mortem. La seconda vittima è una donna di 87 anni di Cassino, con pluripatologie, deceduta il 19 agosto dopo il ricovero in pronto soccorso il 17 agosto.
Entrambi i pazienti avevano condizioni di salute già compromesse, un fattore che aumenta il rischio di complicanze gravi da West Nile, come sottolineato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Le analisi del Laboratorio di Virologia dell’Istituto Spallanzani di Roma, aggiornate al 19 agosto, hanno certificato otto nuovi casi nella regione: due con sindrome neurologica, cinque con febbre da West Nile e un donatore asintomatico individuato grazie allo screening del Centro Regionale Sangue, che garantisce la sicurezza delle trasfusioni. I nuovi contagi sono stati rilevati a Cassino (Frosinone), Latina, Gaeta e Norma (Latina), confermando la provincia di Latina come l’area più colpita, con oltre 60 casi totali nel 2025. Secondo il bollettino dell’ISS, il Lazio conta 101 casi complessivi, di cui 25 con forme neuroinvasive, 67 febbri e 9 asintomatici.
La Regione Lazio, in collaborazione con lo Spallanzani e l’Istituto Zooprofilattico di Lazio e Toscana, ha intensificato le misure di prevenzione, tra cui disinfestazioni con larvicidi e monitoraggio degli animali. Il ministro della Salute Orazio Schillaci ha ribadito che la situazione è “sotto controllo”, in linea con gli anni precedenti, ma ha invitato i cittadini, soprattutto anziani e fragili, a proteggersi dalle punture di zanzare, principali vettori del virus. Non esiste un vaccino per il West Nile, e la prevenzione si basa sull’uso di repellenti, zanzariere e l’eliminazione di acque stagnanti. La letalità della forma neuroinvasiva, pari al 20% nel 2025, sottolinea l’urgenza di vigilanza