Al suo attivo minacce, lesioni, rapine e furti tali da farlo ritenere un “soggetto socialmente pericoloso” in base alle disposizioni del Codice antimafia.
Treviso – Ufficialmente era disoccupato, ma aveva una villa di 300 mq (abusiva), gioielli e un sacco di soldi in banca. Il tutto per un valore di quasi 1,2 milioni di euro. La Guardia di Finanza ha confiscato la dimora, del valore di 450 mila euro, risultata abusiva e oggetto di un’ordinanza di demolizione da parte del comune competente. E disponibilità finanziarie per oltre 685mila euro tra saldi di conto corrente, polizze assicurative, titoli azionari, libretti di risparmio. Infine, bracciali, orologi, anelli, collane, monete, spille rinvenuti in una cassetta di sicurezza di una filiale di banca, per un valore di 40 mila euro.
Il provvedimento, intervenuto in seguito alla conferma da parte della Suprema Corte di Cassazione di un decreto emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Venezia, su richiesta dalla Procura della Repubblica di Venezia, fa seguito ad accertamenti patrimoniali eseguiti dalla guardia di finanza di Treviso su indagini iniziate dalla Procura della Repubblica di Treviso.
Nei confronti del trevigiano risultano numerosi precedenti e condanne penali (minacce, lesioni, ingiurie, falsità, plurime truffe ai danni di privati, insolvenze fraudolente, ricettazione, rapina, tentato furto) tali da farlo ritenere, sulla base delle previsioni del “Codice antimafia”, socialmente pericoloso. Inoltre spicca la palese sproporzione tra il suo patrimonio e la circostanza che egli non abbia mai svolto alcuna attività economica o percepito alcun reddito.
Le indagini, infatti, hanno consentito di accertare, anche in capo ai familiari conviventi del soggetto ritenuto socialmente pericoloso, molteplici denunce e condanne definitive per reati della stessa tipologia del capofamiglia (spesso commessi in concorso con lui) e nessuna fonte reddituale che giustificasse la legittima provenienza del patrimonio accumulato nel tempo.
L’assenza di una vera e documentata occupazione lavorativa, così come di un reddito lecito, ha consentito di giungere alla conclusione che l’intero nucleo familiare abbia da sempre tratto le proprie fonti di sussistenza dalla commissione di reati.