Tutti contro Rosina, maltrattata e uccisa: condannati la figlia, il nipote e il marito

Prima di essere strozzata, la notte di Natale del 2020, l’anziana si era rivolta ad un centro antiviolenza per lamentarsi dei familiari. Secondo i giudici l’omicidio è stato premeditato.

MONTECASSIANO (Macerata) – Mamma e figlio avrebbero premeditato l’omicidio della congiunta con la complicità del marito della vittima. Ribaltando il verdetto di primo grado Arianna Orazi, 52 anni, è stata ritenuta responsabile del matricidio di Rosina Carsetti, 78 anni, strangolata nella villetta di famiglia la notte di Natale del 2020. I giudici della Corte di Appello hanno comminato alla donna la pena dell’ergastolo ritenendola responsabile di omicidio volontario premeditato e maltrattamenti inflitti alla povera donna morta ammazzata. Arianna, in primo grado, era stata assolta dalle accuse maggiori e condannata per la sola simulazione di reato a 2 anni di carcere.

Rosina Carsetti

Condannato anche il figlio Enea Simonetti, 24 anni, difeso dall’avvocato Valentina Romagnoli, che dal fine pena mai del primo grado di giudizio è passato alla condanna a 27 anni di reclusione comminati dai magistrati di secondo grado perché ritento l’artefice del delitto assieme alla madre Arianna, difesa dall’avvocato Olindo Dionisi. Condannato pure il marito della vittima, Enrico Orazi di 82 anni, difeso dall’avvocato Barbara Vecchioli, a 4 anni e 6 mesi di detenzione per maltrattamenti in danno della moglie mentre in primo grado aveva incassato l’assoluzione.

La Corte, presieduta da Giovanni Treré, ha ritenuto tutti e tre gli imputati colpevoli di maltrattamenti aggravati nei confronti della vittima che, secondo l’accusa sostenuta dal procuratore generale Roberto Rossi, veniva prima spogliata di beni come la casa e l’auto e poi uccisa perché si ribellava ad un clima di gravi vessazioni messo su dai suoi congiunti. Nell’udienza precedente Enrico Orazi aveva clamorosamente confessato la propria responsabilità per il delitto, forse nel tentativo di scagionare la figlia e il nipote quando ormai l’assoluzione per lui era diventata definitiva, affermando di essere stato maltrattato, umiliato e usato come un bancomat dalla moglie Rosina.

Enrico Orazi

La Procura generale non gli ha creduto e ha chiesto la trasmissione degli atti giudiziari per valutare se perseguirlo o meno anche per l’accusa di auto-calunnia. L’omicidio di Rosina Carsetti, donna affabile e benvoluta da tutti, si era consumato alla vigilia di Natale del 2020 in piena emergenza Covid. Sulle prime i congiunti della donna simularono una rapina con contestuale aggressione e strangolamento della pensionata ad opera di uno sconosciuto che aveva agito con il volto travisato da un passamontagna. Intorno alle 19.30 del 24 dicembre Arianna Orazi chiamava il 112 e denunciava un’aggressione mortale alla madre e violenze personali e al padre da parte di un rapinatore solitario poi fuggito senza lasciare tracce. Il ladro avrebbe immobilizzato Arianna e il padre Enrico per poi “strozzare” Rosina, insomma una rapina finita male alla quale gli inquirenti non hanno mai creduto. In casa nessun indizio che facesse pensare ad una persona estranea alla famiglia, men che meno al di fuori della villetta di Montecassiano.

I tre venivano iscritti sul registro degli indagati e grazie ad intercettazioni ambientali, telefoniche e riscontri scientifici mamma, figlio e nonno finivano alla sbarra con la gravissima accusa di avere ucciso Rosina alla quale era stata tolta l’auto e anche la possibilità di vivere una propria esistenza in tutta libertà e con l’autonomia economica che le spettava essendo proprietaria di beni mobili e immobili. Rosina Carsetti, il giorno prima di morire, si era recata presso un centro antiviolenza dove si era lamentata dei comportamenti violenti dei suoi familiari che non mancavano occasione per molestarla per qualsiasi motivo ma, soprattutto, per questioni economiche, presumibile movente del delitto.

Enea Simonetti e davanti la madre Arianna Orazi

L’accusa ha sempre sostenuto infatti che non si sia trattato di un omicidio per impulso, ovvero al termine di una violenta lite, anche se gli alterchi quotidiani non mancavano di certo, piuttosto di un delitto pianificato a tavolino sin dal 16 dicembre, cosi come poi gli investigatori avrebbero scoperto. Questa ricostruzione dei fatti è stata avallata dalla Corte d’Appello di Ancona che ha emanato i tre verdetti di condanna. Entro tre mesi verranno depositate le motivazioni cosi da permettere ai tre avvocati difensori di ricorrere alla Suprema Corte di Cassazione in avverso alle sentenze.

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