TREND NEGATIVO SU TUTTE LE RUOTE

Export ed import ai minimi storici in tutti gli indotti economici. Pesa meno la congiuntura nei comparti che hanno riconvertito le linee di produzione. Forse nel 2021, sempre che il virus non di altri problemi, si potrà intravedere un briciolo di ripresa.

Gli effetti negativi del virus sull’economia comunitaria cominciano a rendersi evidenti. I dati forniti dall’Istat in merito al commercio estero extra UE relativi al primo trimestre 2020 sono estremamente negativi. Le statistiche mostrano un calo congiunturale delle esportazioni (-13,9%) e delle importazioni (-12,4%). Per quanto concerne il settore export la flessione maggiore è accusata dai beni strutturali, scivolati a -24.6% mentre il commercio per i beni di consumo è sceso di 21.8 punti percentuali. Analoga situazione per l’import. Nelle importazioni i beni strutturali hanno fatto registrare un calo del circa 14%, del -26.2% invece per i beni durevoli e -24.2% per i prodotti energetici.

Secondo le previsioni fornite dall’istituto di ricerca gli effetti della contrazione si vedranno soprattutto su base annua. Il saldo finale dovrebbe vedere le esportazioni diminuire del 12.7%. Un dato che potrebbe interessare notevolmente anche il settore alimentare italiano. In generale, ad essere colpiti principalmente saranno i beni di consumo durevoli (-28%). Anche il comparto dei prodotti strutturali non sembrerebbe passarsela meglio con una notevole contrazione di circa 20.8 punti percentuali.

La generale paralisi economica è fotografata dalla diminuzione dell’avanzo nell’interscambio di prodotti non energetici, passato dai 7.872 milioni del marzo 2019 ai 7.202 milioni nell’anno corrente. Gli effetti sono stati importanti anche per quanto riguarda le relazioni economiche con i Paesi dell’OPEC, -45.6% delle importazioni, con la Cina, -27.4%, e con la Turchia, -22.0%. Analogamente per quanto concerne le esportazioni si è passati dal -24.3% dei rapporti commerciali con i Paesi OPEC, al -12% con il Giappone.

Una situazione che, oltretutto, evidenzia una politica europea improntata sulle delocalizzazioni e quindi legata molto più all’import rispetto all’export. Infatti i beni importati a basso costo dai mercati extraeuropei una volta giunti nell’Unione vengono raffinati e immessi nuovamente sul mercato interno con un costo maggiore. La criticità di tale politica economica è letteralmente esplosa nella situazione in cui ci troviamo. Tale paralisi globale ha pesato, e continuerà a farlo, proprio su quelle realtà che si sono viste sfornite di capacità industriale trasversale. Prediligere una interconnessione instabile ha portato molti settori industriali a dover riconvertire urgentemente la propria linea di produzione per evitare un gigantesco indebitamento e in alcuni casi, addirittura, il default finanziario.

 

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