Torturati e uccisi: ignoti gli assassini

Quella che si vuol far passare per tragica fatalità, a tutti gli effetti, sarebbe un duplice omicidio con moltissimi risvolti oscuri. La mano che torturò e tolse la vita ai due giornalisti italiani è rimasta ignota. I familiari invocano giustizia.

Roma – Sono trascorsi 43 anni dalla scomparsa di Graziella De Palo, 24 anni, e Italo Toni, 50 anni, entrambi giornalisti, rapiti e morti ammazzati a Beirut, in Libano, il 2 settembre 1980. Più che una tragedia quella del duplice omicidio è stata un intrigo internazionale che ha visto coinvolti una certa politica, i soliti servizi deviati e non deviati, aguzzini e traditori. Un copione che, quando si parla di armi come in questo caso che ci ricorda da vicino l’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, si ripete sempre alla stessa maniera.

Italo Toni e Graziella De Palo

Il 2 settembre 1980, Italo Toni e Graziella De Palo, da inviati arrivano in medio Oriente per indagare sui traffici di armi da Beirut ma scompaiono senza lasciare tracce ed i loro corpi non verranno mai ritrovati. Italo e Graziella sono ospiti del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, formazione di estrazione marxista guidata da George Habbash, che ha promesso loro di condurli a sud sulle colline dove si trova il castello di Beaufort, sulla linea dello scontro con l’esercito israeliano. I due hanno scoperto che il Libano sarebbe diventato il crocevia di traffici internazionali d’armi in violazione degli embarghi stabiliti dall’Onu. Per i due giornalisti, dunque, l’occasione  di unirsi ad un gruppo di guerriglieri è davvero troppo ghiotta e cosi decidono di partire.

Dopo aver confermato le stanze d’albergo e avvertito l’ambasciata italiana, i due cronisti seguono alcuni membri del FPLP ma da quel momento di Italo e Graziella si perderanno le tracce. Da allora e sino al 2017 solo depistaggi e menzogne alle famiglie dei due cronisti che hanno sempre invocato la verità. Nel 2017, infatti, il giornalista de La Stampa, Massimo Numa, scomparso nel 2020, pubblicava la confessione di un ex dirigente dei servizi segreti italiani accertando cosi che le autorità capitoline sapevano benissimo che cosa fosse accaduto a Italo e Graziella:

Il compianto Massimo Numa

”Erano al corrente di tutti i particolari della morte dei due giornalistisi legge nell’intervista – chi li aveva rapiti, poi detenuti in una base palestinese, infine torturati e uccisi. I corpi furono sepolti sotto un cumulo di detriti, in un quartiere non distante da Tiro, vicino al mare, all’interno di un cantiere non lontano da uno svincolo autostradale”.

Dunque torturati e uccisi da persone note ma l’inchiesta non finiva nelle mani del nostro ambasciatore ma in quelle, certo non adamantine, del generale dei carabinieri Stefano Giovannone, nome in codice “Maestro”, già capocentro del SID e poi del SISMI a Beirut, durante gli anni della guerra civile.

Israele contro Palestina: una guerra infinita

Di Giannone ne parlerà anche Aldo Moro nelle lettere inviate dalla prigione delle Brigate Rosse. Moro sapeva ogni cosa di ciò che avveniva in Medio Oriente per bocca dello stesso Giannone che, in quel periodo, avrebbe avuto il compito di garantire l’applicazione del “lodo Moro”, ovvero un patto segreto verbale di non belligeranza tra Stato italiano e Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), la medesima organizzazione che accompagnava i due giornalisti verso la morte nonché movimento membro dell’OLP, acronimo di Organizzazione per la Liberazione della Palestina.

Dunque i due cronisti avevano scoperto il traffico di armi fra i palestinesi e l’Italia? Vero è che parte dei proiettili utilizzati dalle Br in via Fani provenivano da forniture libanesi? Con il “lodo Moro”, in buona sostanza, l’Italia garantiva ai palestinesi, sostenuti da gruppi eversivi italiani, la libertà di passaggio di armi ed esplosivi sul proprio territorio nazionale, in cambio l’Olp giurava di non realizzare attentati, eccezion fatta laddove Usa ed israeliani avevano interessi. I

Stefano Giovannone

Insomma la storia si ripete e chi ci ficca il naso muore. L’inchiesta per fare luce sulla tragedia venne archiviata nel 1984 e l’allora Premier Bettino Craxi decise di apporre il segreto di Stato, rimosso poi in parte nel 2014. Nel 2019 la Procura di Roma, nelle persone del procuratore aggiunto Francesco Caporale e sostituto Francesco Dall’Olio, disponeva nuove indagini, accogliendo la richiesta presentata dai figli di Graziella De Palo. La strada per la verità è ancora lunga assai.

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