Tolleranza zero contro l’Overtourism

La nuova consuetudine di affollare in maniera deleteria alcune località turistiche provoca un impatto ambientale notevole e non solo. Lotta senza quartiere alla calata dei barbari.

Le proteste contro l’Overtourism si sono diffuse a macchia d’olio! Tale forma di turismo di massa, come recita il sito dell’Organizzazione Mondiale del Turismo (OMT) è definita come “l’impatto […] su una destinazione, o parti di essa, che influenza eccessivamente e in modo negativo la qualità della vita percepita dei cittadini e/o la qualità delle esperienze dei visitatori”.

Da questa definizione se ne deduce che si tratta di una problematica di portata globale, che può influenzare la qualità della vita e delle esperienze delle persone attraverso i suoi effetti sul territorio, traducendosi in una serie di stravolgimenti sociali, economici e ambientali ai danni dei cittadini che portano, ad esempio, a un allontanamento degli abitanti dalle località medesime. Il fenomeno divampò prima della pandemia a Barcellona che, da questo punto di vista, può essere considerata l’antesignana di tutto quello che ne è scaturito poi.

Cominciò a diffondersi l’idea che il turismo è un settore che incide molto non solo sull’economia, ma anche sull’ambiente e con effetti devastanti sulla struttura sociale delle città e sui residenti. Il lusso a portata di mano dei turisti, una sorta di novelli predatori, si trasformava in povertà di tutti i giorni per chi viveva in loco. Il Covid-19, il famigerato virus che tanti lutti e disagi ha provocato, tuttavia aveva frenato, a causa del lockdown, le invasioni di massa delle città da parte dei turisti. Ma come il virus ha deciso, con nostro sommo gradimento, di levarsi dalle scatole, ecco rispuntare il solito copione.

Questa tipologia di turismo crea solo danni sociali e ambientali

Nell’Europa meridionale il settore ha raggiunto quote significative del Prodotto Interno Lordo (PIL) tra il 6 e l’11%. Il fenomeno ha raggiunto, però, livelli fuori controllo, in quanto la domanda, costituita da mandrie di gente inebriata dalla possibilità di immergersi nella calca, è di molto superiore all’offerta. Gli alloggi, le strade, le infrastrutture, gli spazi, l’acqua, non riescono a soddisfare i bisogni di tutti. Sono sorti molti comitati di cittadini che si sono riuniti in un network, il SET (Southern Europe Network Against Touristification), un gruppo di associazioni e collettivi del Sud Europa che si oppongono alla “turistificazione“.

Gli effetti producono gentrificazione, perdita di alloggi accessibili, aumento dei prezzi e il degrado degli spazi pubblici. La rete nasce per condividere esperienze e sviluppare proposte comuni, creando una voce critica e potente contro il modello turistico attuale e promuovendo alternative per un turismo più sostenibile e un’equa ripartizione dei benefici. Queste contestazioni non vanno interpretate contro il turismo in sé, ma contro la deriva che ha intrapreso. A volte le proteste possono assumere toni più folcloristici che efficaci. Come è successo a quei turisti accolti dai colpi di pistole ad acqua.

Può essere uno sfogo, ma il problema resta, comunque. Il fenomeno dev’essere inquadrato nella sua complessità. Rappresenta una possibilità di riflessione sugli spazi urbani, sugli effetti sul mercato del lavoro, su cosa s’intende per democrazia e sull’ecologia. Il fatto che i comitati di protesta si siano costituiti in rete, sprovincializza il fenomeno e lo rende più attrattivo e incisivo. Le lotte contro il turismo selvaggio possono e devono diventare un’occasione per riappropriarsi degli spazi pubblici, che in quanto tali sono di tutti e non della parte più danarosa della società.

Perché se è vero che la “turistificazione” immette, nell’immediato, denaro fresco nell’economia, nel lungo periodo produce solo danni sociali e ambientali. Oltre a fa diventare le grandi città ampi set cinematografici per grandi eventi!