Maria Angioni, che ha esercitato negli ultimi tempi come giudice di Sorveglianza, appenderà la toga al chiodo a far data dal prossimo 1 settembre. La donna è stata la prima Pm ad indagare sulla controversa sparizione di Denise Pipitone e dovrà rispondere di false attestazioni e diffamazione davanti al tribunale che l’aveva vista magistrato inquirente. Una vicenda ancora tutta da chiarire.
Mazara del Vallo – Sotto processo per false attestazioni alla pubblica accusa e diffamazione in danno di un poliziotto l’ex sostituto procuratore di Marsala, Maria Angioni, giudice di Sorveglianza a Sassari, appenderà la toga al chiodo. L’ufficiale giudicante ha presentato le dimissioni al Consiglio superiore della Magistratura la cui 4° commissione ha accolto all’unanimità la richiesta della donna che sarà ufficiale a partire dal prossimo 1 settembre. Il giudice aveva indagato per prima sulla sparizione di Denise Pipitone, scomparsa come un fantasma il 1 settembre 2004.
Ad oggi le indagini continuano senza risultati nonostante gli sforzi degli attuali inquirenti, gli stessi che hanno denunciato la Angioni per false attestazioni al Pm ovvero per aver riferito, in tv e sui social network, fatti inerenti la sparizione della bambina rivelatisi poi privi di riscontri. La giudice sarda era stata ascoltata dai colleghi della Procura di Marsala, in sommarie informazioni, su una serie di presunti depistaggi e di inefficienze investigative da parte delle forze dell’Ordine, nella fattispecie della Polizia di Stato.
Nel giugno scorso la stessa Procura di Marsala aveva citato in giudizio il giudice Angioni con l’accusa di diffamazione aggravata a mezzo stampa ai danni di un ispettore di polizia del commissariato di Mazara del Vallo. Sembra che l’ex Pm avesse rivelato, durante un programma televisivo, che il sottufficiale facesse parte della quadra di detective che il primo settembre 2004 si erano recati nella palazzina dove risiedeva Anna Corona, più volte menzionata nell’ambito delle indagini sulla scomparsa della piccola Denise.
La perquisizione, com’è noto, era stata fatta ma all’interno di un altro appartamento e non in quello indicato, come pare, nel regolare mandato. Detto ispettore, addirittura, non avrebbe fatto parte della squadra di agenti operanti. Perché allora Maria Angioni avrebbe raccontato, a detta dei suoi stessi colleghi, una montagna di frottole? Che interesse ne avrebbe tratto? Perché rivelarle e non mantenere un più conveniente silenzio? Nel settembre 2004 la dottoressa Angioni svolgeva le mansioni di pubblico ministero a Marsala insieme al procuratore capo dell’epoca Silvio Sciuto e al magistrato inquirente Luigi Boccia.
La Pm si era occupata delle prime fasi dell’indagine sulla scomparsa di Denise Pipitone che poi aveva abbandonato chiedendo il trasferimento, per poi passare nei ranghi della magistratura del lavoro in Sardegna. Tre sarebbero gli episodi contestati alla Angioni ma il suo legale di fiducia, l’avvocato Stefano Pellegrino, ha dichiarato a suo tempo che i particolari dichiarati dalla propria assistita altro non sarebbero stati che “cattivi ricordi in buona fede”. Insomma mera confusione nella esposizione dei fatti dovuta alla complessità dell’inchiesta e al tempo trascorso, circa 17 anni.
Se le accuse convincono poco, la difesa non convince affatto. Se una persona, lasciando stare la toga, non è certa di ciò che sa o non ricorda bene perché andare in tv e scrivere sui social vicende che non stanno né in cielo, né in terra? Successivamente la stessa Angioni giustificava le sue dichiarazioni o, meglio, i suoi “cattivi ricordi” scrivendo sul suo profilo Fb quanto accaduto:
”…Non ho iniziato e portato avanti tutta questa cosa per perdere tempo – scriveva il magistrato – e sprecare importanti occasioni per ristabilire verità utili. Non ho certo paura. I Pm di Marsala saranno sicuramente convinti delle buone ragioni dell’accusa, io d’altra parte ho il diritto non solo di difendermi ma anche di portare ogni situazione problematica, nell’ambito dei fatti che mi sono stati contestati, davanti al giudice, in un processo pubblico. All’epoca delle indagini per il sequestro di Denise Pipitone ho incontrato tanti problemi, e ritengo che sia inutile e dannoso andare avanti nel tentativo di capire che cosa avvenne alla bambina, se prima non si viene a capo di quei problemi…”.
Parole sensate che avrebbero dovuto seguire altre strade. Ma nel nostro Bel Paese, più di qualche volta, la verità si nasconde laddove qualcuno pensa si celi la menzogna. Il caso “Pipitone” è una miscellanea di verità e menzogne. Venirne a capo sembra un’impresa ciclopica.