Il fatto che l’App sia utilizzata da Pechino per ottenere dati personali e riconoscimento facciale è risaputo ma c’è una prospettiva più inquietante: che sia una vera e propria arma attraverso la quale contribuire alla decadenza della cultura occidentale.
Roma – C’è poco da dire: TikTok è il social del decennio. Il suo format di video brevissimi, in successione frenetica, selezionati da un algoritmo infallibile, ha travolto il mondo dei social, costringendo i competitor ad adattarsi. I suoi effetti negativi sulla soglia di attenzione sono ben noti, così come lo è l’idiozia di buona parte dei suoi contenuti. Riflesso dello spirito del tempo? Forse. Ma potrebbe anche far parte di un disegno più inquietante, tanto più che la versione cinese è completamente diversa...
TikTok riflette una certo “approccio cinese” ai social – è essenzialmente quantitativo. Migliaia, milioni di video, quasi tutti stupidissimi. I famigerati balletti, contenuti sessualizzanti, scherzi idioti e pericolosi, esibizionismo di roba costosa. Si può persino mettere in dubbio che sia un social in senso tradizionale: è impossibile fare amici, come era su Facebook. Sembra piuttosto una evoluzione della vecchia TV: ma a differenza dei vecchi film e programmi, consta solo di infiniti video di meno di sessanta secondi.
Il perno attorno a cui ruota tutto è l’algoritmo, che sceglie che video presentarci in seguito all’ennesimo swipe. L’algoritmo di TikTok è incredibile nel modo in cui riesce a individuare i nostri gusti, tenendoci incollati all’applicazione. Con esiti quasi patologici. Il fatto che possa dare dipendenza è ben noto. Anche gli effetti negativi sull’attention spawn, la concentrazione e la salute mentale sono ben documentati. Ora, il sospetto è – non è che TikTok potrebbe essere un psyop – un’operazione di guerriglia psicologica per instupidire l’Occidente?
Douyin, il TikTok cinese dove la stupidità non è accettata
Possiamo notare che, sebbene i cinesi abbiano regalato TikTok al mondo, loro non lo utilizzino affatto, almeno per come lo utilizziamo noi. La versione cinese di TikTok si chiama Douyin, e benché sia basata sullo stesso principio, i contenuti sono completamente diversi. L’algoritmo di Douyin premia infatti contenuti edificanti. Che “storie” propone Douyin? Quelle di ragazzi che fanno i compiti, giovani imprenditori di successo, grandi sportivi. Ma anche consigli di arte e fotografia, life hacks, viaggi, curiosità. Non a caso, i creators cinesi sono più vecchi di quelli occidentali (da noi, hanno quasi tutti meno di 24 anni).
Certo, abbondano anche i video di gattini e cagnolini “pucciosi”, ma la differenza è evidente: il governo cinese, che evidentemente esercita controllo sull’applicazione (e l’ha utilizzata, in passato, per ottenere milioni di dati sulle preferenze degli utenti), non vuole sottoporre la propria gioventù a contenuti idioti. Quelli vanno bene per il resto del mondo.
Dunque, noi stiamo subendo l’attacco culturale della Cina, che promuove, attraverso una applicazione che premia la quantità sulla qualità, un’attività che non fa altro che perdere tempo ai giovani e proporre loro modelli culturalmente vuoti, mentre i giovani cinesi (che, ricordiamolo, non possono usare i social occidentali) sono sottoposti a contenuti “positivi”, costruttivi.
L’informazione come arma
Si ripresenta insomma la solita questione – dovremmo controllare i social? I cinesi hanno già dato la loro risposta, ed è un “sì”. Pechino ha già tratto le proprie conclusioni sugli effetti negativi dei media contemporanei e ha ritenuto di dover reagire sia limitando l’utilizzo (i ragazzi cinesi possono legalmente usare i social meno di un’ora al giorno) che controllando direttamente i contenuti che ci passano sopra in un’ottica “virtuosa”.
Al contrario, in Occidente non ci si pone minimamente il problema di intervenire sulla “dieta” d’informazione dei nostri ragazzi. Abbiamo assistito al declino del nostro Internet: dai blog, che proponevano contenuti di qualità, a Facebook, che perlomeno favoriva i rapporti sociali, fino a Instagram, “social dell’immagine” per eccellenza. E ora: TikTok, la definizione di media spazzatura, di cui i nostri giovani si ingozzano. E chi controlla l’algoritmo? La Cina, il nostro (a quanto pare), principale rivale geopolitico.
Insomma, il Dragone sta mettendo in atto un gigantesco esperimento di ingegneria sociale, usando per la prima volta proprio i nuovi media. E i risultati si vedono: i giovani occidentali sognano di fare i TikToker, di diventare celebrità sfaccendate che non producono nulla di valore, mentre la gioventù orientale viene orientata all’ambizione e alla realizzazione personale. Possibile che questa differenza nella proposta di contenuti non rifletta un preciso disegno?
Nell’età dell’informazione, algoritmi e social media sono pezzi nello scacchiere geopolitico. I “padroni dei numeri” possono influenzare, sottilmente ma con esiti devastanti, la mentalità e la psicologia dei membri più preziosi e vulnerabili della nostra società. Ed è un problema di cui prima o poi ci dovremo rendere conto.