Il sogno di un nuovo Partito liberale italiano sembra destinato a non avversarsi mai: l’edificio del Terzo Polo già scricchiola in seguito a regionali deludenti e screzi tra renziani e calendisti. L’ultima causa di litigio? Italia Viva non vuole fare cassa comune con Azione. E il Congresso si prefigura come match finale.
Roma – Dopo il suicidio di Fare per Fermare il Declino e le percentuali da prefisso di Più Europa, il Terzo Polo aveva raccolto le speranze dei molti che vorrebbero essere rappresentati da un partito autenticamente liberale. La creatura di Renzi e Calenda era riuscita nel primo obiettivo: prendere percentuali convincenti. Tuttavia l’iniziativa politica sta fallendo clamorosamente nell’organizzazione interna e, soprattutto, nel fondere i due corpi in un unico partito compatto. L’ultimo litigio – legato a miserabili questioni di borsello – sta rischiando di mandare in frantumi il partito: pessimo segnale…
Noi avevamo già profetizzato che il Terzo Polo avrebbe avuto successo se fosse riuscito a creare una nuova dirigenza stabile leale al nuovo partito unito, piuttosto che ai residuati di Azione e Italia Viva. Tutto il contrario di ciò che sta accadendo: una miserabile lite da portafogli rischia di far collassare precocemente la formazione.
La questione è legata al 2×1000. Italia Viva, nonostante le dimensioni ridotte, conta su laute donazioni per un totale di circa 2 milioni di euro. Azione, tecnicamente socio di maggioranza, circa la metà. I renziani sono dunque riottosi a volere condividere il salvadanaio con un alleato con cui gli screzi appaiono sempre più evidenti.
Il tandem Renzi-Calenda, dopo la prima fase di idillio, pare quantomeno instabile. Calenda brontola contro un socio che lavora molto di meno di lui per il partito, specialmente dopo la nuova carriera giornalistica come direttore editoriale de Il Riformista. Renzi, invece, si lamenta di un collega che vuole gestire il partito come se ne fosse il capo assoluto.
Ma niente paura: sciogliendosi, il tandem rischia di perdere posizioni in Parlamento, oltreché lauti finanziamenti pubblici. Dunque è probabile che per queste nobilissime ragioni si cercherà una ricucitura di qualche tipo. Alla fine, è Renzi a fare il passetto indietro: “Scioglierò Italia Viva dopo il congresso“. Peccato che ora a temere il congresso sia proprio Carlo Calenda.
Il leader di Azione teme infatti di rimanere scalzato nell’imminente congresso che ridefinirà la geografia del partito. Oppure comunque che i risultati finiscano troppo per condizionare la linea del partito, definita rigorosamente da egli stesso.
Paure stupide, Carlo: il fascino dei partiti liberali sta proprio in una tenuta democratica, che fa sentire l’elettorato influente nelle dinamiche di partito e lo allontana dal partito-azienda rispetto al quale il Terzo Polo si pone come movimento antitetico. Bisogna piuttosto accelerare i tempi: una vittoria netta di una delle due anime sancirà in maniera definitiva gli equilibri del partito, renderà più veloce la fusione e assesterà definitivamente il Terzo Polo come flop o forza politica destinata a durare.
Il lavoro da fare sarebbe ancora tanto: più radicamento sul territorio, maggiore partecipazione, nuove facce da presentare. Ma senza il congresso, il jolly terzopolista è destinato solo a morire.