Tempi duri per i malati di Alzheimer

Il morbo degenerativo è in netto aumento fra la popolazione italiana e lo Stato deve fare al sua parte ma, come al solito, non mancano i problemi. Esclusivamente economici.

Lo Stato ha l’obbligo di pagare le rette per i malati di Alzheimer. Ormai il problema di questa patologia è noto alla maggioranza dell’opinione pubblica. O per conoscenza diretta, per qualche familiare colpito in famiglia o indirettamente, perché la malattia è entrata con prepotenza nel gruppo familiare di qualche amico, conoscente o residente del quartiere in cui si vive. E’ come uno tsunami che oltre a sconvolgere la vita del paziente, si riversa con ferocia sull’intera famiglia, con ricadute economiche e sociali non indifferenti. Anche perché la presenza dello Stato è insignificante.

L’Alzheimer è una patologia neurodegenerativa a decorso cronico e progressivo. È la causa più comune di demenza nella popolazione anziana dei Paesi sviluppati: attualmente si stima ne sia colpita circa il 5% della popolazione al di sopra dei 65 anni e circa il 20% degli ultra-85enni, anche se in diversi casi può manifestarsi anche un esordio precoce intorno ai 50 anni di vita.

Questa malattia è caratterizzata da un processo degenerativo progressivo che distrugge le cellule del cervello, causando un deterioramento irreversibile delle funzioni cognitive (memoria, ragionamento e linguaggio), fino a compromettere l’autonomia e la capacità di compiere le normali attività giornaliere. Una recente sentenza della Corte d’Appello di Milano, la 1644/2025, ha emesso che le rette per i pazienti di Alzheimer devono essere a carico dello Stato. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) – ente di diritto pubblico che, in qualità di organo tecnico-scientifico del Servizio Sanitario Nazionale in Italia (SSN), svolge funzioni di ricerca, sperimentazione, controllo, consulenza, documentazione e formazione in materia di salute pubblica – in Italia oltre 1 milione di cittadini soffre di malattie neurodegenerative, di cui 600 mila di Alzheimer.

Oltre la demenza senile, il morbo non lascia speranze

Un evento che scombussola la vita di chi sta intorno ai pazienti, familiari e assistenti, che devono sopportare un carico enorme dal punto di vista psicologico ed economico. Le rette nelle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) superano i 2 mila euro al mese. Una cifra altissima, anche perché molti percepiscono pensioni che non arrivano a quelle cifre nemmeno con l’accompagnamento, un sostegno economico erogato dall’Inps alle persone con gravi disabilità. Come recita il sito del Ministero della Salute una RSA è una struttura socio-sanitaria residenziale che offre assistenza e cure a persone anziane con disabilità, non autosufficienti e che non possono essere adeguatamente assistite a domicilio.

Le RSA forniscono un ambiente protetto e servizi sanitari, assistenziali e riabilitativi, con personale medico, infermieristico e assistenziale disponibile h24. Si tratta, quindi, di una struttura specializzata che fornisce un livello elevato di assistenza sanitaria e socio-assistenziale a persone che non possono più vivere in modo indipendente. La sentenza della Corte d’Appello di Milano è l’ultima in ordine di tempo dopo quelle della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato.

E’ come se lo Stato avesse sanzionato sé stesso, confermando il pressapochismo e l’inefficacia della politica socio-sanitaria realizzata, finora, nel nostro Paese. E’ un principio sacrosanto, che oltre a rispettare la Carta Costituzione in tema di diritto alla salute, evidenzia la connessione tra la prestazione assistenziale nelle RSA e il piano terapeutico autorizzato dal SSN e le rette da pagare vi rientrano con pienezza. Il problema di fondo è che la situazione del SSN è da coma irreversibile. Chissà se quelle risorse finanziarie saranno trovate, con tutte quelle spostate alla voce “riarmo”!