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Tanta sfiducia e sentimenti di stanchezza verso la politica: l’indagine dopo le elezioni

I primi risultati dell’Osservatorio congiunto avviato da Polidemos, Università Cattolica, e l’istituto di ricerche demoscopiche Ipsos.

Roma – Tanta sfiducia e sentimenti di stanchezza verso la politica. È il clima sociale che si respira in Italia, dove però gli italiani continuano a mostrarsi consapevoli dell’importanza delle istituzioni democratiche senza cadere nella tentazione di “scorciatoie” autoritarie. A tastare il polso del nostro Paese è l’Osservatorio sullo Stato della Democrazia – ItaliaInsight avviato da Polidemos, il Centro per lo studio della democrazia e dei mutamenti politici dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, e l’istituto di ricerche demoscopiche Ipsos. Dopo l’evento di lancio a febbraio, i due istituti propongono la prima rilevazione con un focus sui fenomeni dell’autoritarismo e del radicalismo, definendo alcuni indicatori che hanno consentito di misurare la “temperatura” della società italiana su diversi fronti.

Nella nostra società sono infatti ben evidenti i segnali di alcune tendenze (“sindromi”, come definite nell’indagine) che rischiano di minare l’equilibrio democratico. Si parte dalla “sfiducia sistemica” (l’immagine dell’Italia come un paese in declino, una prospettiva pessimista sul futuro delle giovani generazioni, un generale decadimento della fiducia tra le persone…) e si passa da sentimenti di distanza o di vera e propria contrarietà rispetto alla politica (accusata di “parlare tanto ma di fare poco”, o di avere degli interessi in contrasto con il benessere della gente comune).

Questi fenomeni fanno registrare alti tassi di penetrazione nell’opinione dei cittadini: una quota maggioritaria (in alcuni casi vicina o superiore addirittura ai tre quarti degli intervistati) concorda con le affermazioni critiche sondate dai ricercatori. Secondo i dati raccolti da Ipsos, il 78% degli italiani, ad esempio, ritiene che “i politici trovano sempre un modo per proteggere i loro privilegi”. Il 58% è d’accordo con l’affermazione: “la politica oggi non conta più molto, sono l’economia e i mercati internazionali a decidere tutto”. Non mancano elementi di complottismo, molto diffusi nell’opinione dei cittadini: il 62% si dice d’accordo col fatto che: “le notizie che ci arrivano dalla stampa e dai media sono spesso intenzionalmente distorte per sviarci” e il 74% ha spesso “la sensazione che le questioni davvero importanti siano decise dietro le quinte”.

Rimane comunque alto l’interesse per la politica, con il 52% degli intervistati che dichiara di “partecipare con interesse e passione” o di “seguire in maniera interessata” le discussioni in materia. Tutto ciò si riversa in un sentimento contrastante verso la nostra democrazia: se da un lato è vero che solamente il 16% se ne dichiara “molto” o “abbastanza” soddisfatto (il 47% è insoddisfatto, il 37% non si sbilancia o non si esprime affatto), dall’altro rimane minoritaria, “solamente” del 34%, la quota di coloro che si dichiarano pronti a sperimentare “un modo diverso per governare l’Italia”. La “sindrome autoritaria” è fortunatamente quella meno rovente, con un indice che si ferma a 33 punti su 100.

Non convince l’idea di un “leader forte, disposto a infrangere le regole per mettere a posto l’Italia” (32% di intervistati “molto” o “abbastanza d’accordo”), il fatto che “I governanti dovrebbero far rispettare la loro autorità anche se ciò comporta la violazione dei diritti di alcuni cittadini” (20%) o l’ipotesi che “Il governo dovrebbe poter chiudere gli organi di informazione che sono critici nei suoi confronti” (17%). Posti di fronte a una scelta netta tra una “società democratica dove sono presenti vari problemi” e “un regime dittatoriale che garantisce a tutti un livello di benessere sufficiente e dove non sono presenti particolari emergenze” gli italiani si schierano compattamente per la prima opzione: 55% contro il 17% che preferirebbe una dittatura “virtuosa” (non risponde il 28%).

Anche la tendenza al radicalismo non attecchisce in maniera decisiva: solo il 33% degli intervistati sostiene che la politica oggi dovrebbe “avanzare proposte più radicali, nette, anche di parte se necessario”, mentre il 39% preferisce “mediare di più, cercare il più possibile soluzioni di compromesso”. Il 45% ritiene che per far funzionare l’Italia oggi servirebbe “un piano di riforme graduali, da realizzare nel tempo con serietà”, mentre si ferma al 35% la quota di chi indica la necessità di “un cambiamento radicale che azzeri tutto e ricostruisca il Paese e le sue istituzioni da capo”.

Insomma, anche se il clima sociale è pesantemente caratterizzato da sfiducia e sentimenti di antipolitica, gli italiani continuano a mostrarsi consapevoli dell’importanza delle istituzioni democratiche e di alcuni elementi fondamentali come lo stato di diritto, la libertà di espressione, il ruolo dei corpi intermedi e di procedure decisionali collegiali, bilanciate tramite i ben noti “pesi e contrappesi”. Una figura solitaria al comando, in un rapporto diretto e disintermediato con i cittadini, non convince gli italiani, che preferiscono ancorarsi ad una democrazia magari imperfetta, ma che rimane “la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre”.

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