Appalti truccati per favorire la ‘ndrangheta, coinvolti imprenditori e funzionari pubblici. Cinquecento militari del Comando provinciale della guardia di Finanza di Reggio Calabria, unitamente al Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata ed alla Gdf dei rispettivi Comandi Provinciali, hanno eseguito una vasta operazione che ha portato a numerosi provvedimenti cautelari personali e patrimoniali nelle province di Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza, Vibo Valentia, Messina, Palermo, Trapani, Agrigento, Benevento, Avellino, Milano, Alessandria, Brescia, Gorizia, Pisa, Bologna e Roma. In 14 sono finiti ai domiciliari, 20 invece sono stati sottoposti ad obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, per 29 è stato disposto il divieto temporaneo di esercitare attività imprenditoriale. L’operazione ha portato al sequestro di un patrimonio del valore di 103 milioni di euro costituito dall’intero patrimonio aziendale di 36 imprese/società, nonché dalle disponibilità finanziarie (rapporti bancari, finanziari, assicurativi e partecipazioni societarie) di 45 indagati. In tale contesto è stato disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente fino alla concorrenza complessiva di circa 9,5 milioni di euro su beni mobili, immobili, quote e azioni di società, rapporti bancari, finanziari, assicurativi, intestati a 7 indagati. L’operazione, denominata Waterfront coordinata dalla Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria diretta dal procuratore Giovanni Bombardieri – rappresenta l’epilogo delle investigazioni condotte dal Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata (G.I.C.O.) del Nucleo di polizia Economico-Finanziaria di Reggio Calabria, volte a contrastare i profili imprenditoriali della cosca di ‘ndrangheta “Piromalli”, operante nella piana di Gioia Tauro. L’azione ha riguardato 57 imprenditori facenti parte, a vario titolo, di un illecito cartello composto da molteplici imprese, capace di aggiudicarsi – attraverso turbative d’asta aggravate dall’agevolazione mafiosa – almeno 22 gare ad evidenza pubblica, in sistematica frode ai danni della Regione Calabria e della Comunità Europea. Le gare turbate e investigate dai militari, bandite tra il 2007 e il 2016 dalle stazioni appaltanti dei Comuni di Gioia Tauro e Rosarno, nonché dalla S.U.A.P. (Stazione Unica Appaltante) di Reggio Calabria, hanno riguardato appalti per un valore complessivo superiore a 100 milioni di euro.
In questo sistema, sostenuto da un collante composito fatto di imposizione mafiosa e collusione, lo scopo perseguito dal sodalizio criminale è stato quello di garantirsi il controllo dell’intero sistema delle gare pubbliche indette dalle stazioni appaltanti calabresi. Ai vertici di tale sodalizio c’erano Francesco Bagalà e Giorgio Morabito i quali hanno realizzato una serie di numerosi reati contro la pubblica amministrazione, nonché contro l’industria ed il commercio, al fine di appropriarsi di ingenti risorse pubbliche costituite dai fondi comunitari (P.I.S.U.), i quali, piuttosto che essere destinati ad una riqualificazione del waterfront di Gioia Tauro, hanno consentito un ingente lucro ai danni degli enti pubblici interessati. Il ruolo di imprenditori “collusi” dei Bagalà, era già emerso in maniera chiara dalle risultanze del procedimento “Cumbertazione”, conclusa nel 2017 dal G.I.C.O. con l’esecuzione di provvedimenti restrittivi personali nei confronti di 27 persone, per i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione per delinquere semplice e aggravata, turbata libertà degli incanti, frode nelle pubbliche forniture, corruzione e falso ideologico in atti pubblici, nonché di provvedimenti cautelari reali su decine di imprese.
Anche Morabito, come è emerso dalle intercettazioni, in considerazione del suo spessore criminale, aveva rapporti di “vicinanza” con i referenti della cosca sulla marina di Gioia Tauro. Le indagini hanno riguardato anche le condotte “a valle” delle gare di appalto, focalizzando l’attenzione sull’esecuzione materiale delle opere, permettendo di disvelare una sistematica frode in pubbliche forniture relative a lavori nel comune di Gioia Tauro ed in quello di Rosarno in cui erano stati stanziati fondi comunitari; la percezione di somme non dovute, per importi quantificati complessivamente in circa 6 milioni di euro. A tal riguardo le indagini hanno riscontrato diffuse irregolarità di carattere contabile e amministrativo grazie alla complicità a vario titolo, di pubblici ufficiali, dirigenti e direttori dei lavori/collaudatori, tecnici/progettisti e responsabili unici pro tempore dei procedimenti relativi agli appalti.
Gli inquirenti hanno accertato il ruolo svolto dal dirigente dell’Ufficio Tecnico del Comune di Gioia Tauro, Nicoletta Angela, nonché dall’architetto Francesco Magione che insieme hanno rivestito la qualifica di direttore dei lavori e responsabile unico del procedimento per la maggioranza degli appalti relativi al waterfront ed alle altre opere pubbliche indetti con i fondi P.I.S.U., consentendo ai legali rappresentanti delle ditte aggiudicatarie, di poter lucrare ingenti profitti ai danni della Regione Calabria. La rete dei complici si è estesa fino ad un funzionario dell’Anas di Reggio Calabria, Giovanni Fiordaliso che agiva in combutta con il noto imprenditore Domenico Gallo, ritenuto essere il dominus di numerose società fornitrici di bitume e calcestruzzo, rapporto finalizzato alla frode nell’esecuzione di svariati contratti di fornitura (che celavano tra l’altro subappalti non autorizzati), nonché svariati lavori in regime di somma urgenza indebitamente affidati ad imprese riconducibili proprio a Gallo per un valore complessivo pari a 3,5 milioni di euro nell’ambito di 4 gare per lavori di ammodernamento di tratti dell’Autostrada A2 Salerno – Reggio Calabria, indette tra il 2009 e il 2016 da A.N.A.S. Spa. Il funzionario ha ricevuto in cambio beni di lusso, altre indebite utilità e promesse di incarichi redditizi nelle sue imprese. Tra l’altro Gallo ha eseguito anche diversi bonifici in favore di Caterina De Giuseppe, moglie del funzionario Anas, accusata anche di riciclaggio di denaro. L’operazione Waterfront dimostra ancora una volta come la ‘ndrangheta abbia rami che si estendono ovunque in Italia con il favore di imprenditori e pubblici ufficiali corrotti oggi accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla turbativa d’asta aggravata dall’agevolazione mafiosa, frode nelle pubbliche forniture, corruzione ed altri gravi reati.