Stufo del lavoro? E allora “quitta”! Perché sempre più persone fanno un passo indietro

Smart working, equilibrio vita-lavoro, senso di appartenenza: il lavoro cambia volto e nasce il “quiet quitting”, la nuova forma di disimpegno silenzioso che le aziende non possono più ignorare.

Non è solo il “vil” denaro che motiva i lavoratori, ma anche altro. Si è sempre pensato che il denaro fosse lo scopo fondamentale a cui mira ogni lavoratore. Ed invece, negli ultimi tempi, si sta imponendo una nuova visione del rapporto col lavoro. Lo stipendio è importante, perché senza di esso “non si mangia”, come recita un diffuso motto popolare, ma nuovi valori contano altrettanto.

Lavoro da remoto, flessibilità, equilibrio tra vita privata e professionale, appartenenza. Questi fattori sono talmente importanti che la loro assenza produce il cosiddetto “quiet quitting” (abbandono silenzioso), ossia quel fenomeno per cui i dipendenti riducono volontariamente il loro impegno lavorativo al minimo necessario, senza dimettersi formalmente. Business Intelligence Group (BIG), un’azienda specializzata in ricerche di mercato, ha condotto uno studio che ha confermato questa tendenza. Nel rapporto con l’azienda sono altrettanto decisivi il riconoscimento professionale, welfare e formazione continua. Il lavoro diventa un luogo, quindi, dove si ricerca “senso”, come in un viaggio personale verso una maggiore consapevolezza di sé, relazioni più appaganti e un senso di scopo nella vita.

quiet quitting
Con il “quiet quitting” (abbandono silenzioso) i dipendenti riducono volontariamente il loro impegno lavorativo al minimo necessario, senza dimettersi formalmente.

Col “quiet quitting” non si investe emotivamente in quello che si fa. Non è mancanza di volontà, né essere colpito da improvvisa inerzia, quanto, piuttosto, rassegnazione. Una risposta agli eccessivi impegni lavorativi, all’assenza del management e alla carenza di coinvolgimento emotivo nell’azienda stessa. Quest’aspetto è così dirimente che secondo Peoplelink, un’azienda che offre soluzioni e servizi innovativi per la gestione delle risorse umane, “la gratificazione professionale e il benessere individuale dei lavoratori devono andare di pari passo con la cultura dell’ascolto e il coinvolgimento emozionale”.

Nel 2023 Gallup, multinazionale statunitense di analisi e consulenza nota per i suoi sondaggi di opinione pubblica condotti in tutto il mondo, stimò che il 60% dei lavoratori globali fossero poco coinvolti nel processo lavorativo. In Italia solo il 5% delle imprese investe in modelli di partecipazione e cooperazione per ottimizzare le singole professionalità. Eppure dovrebbe essere la loro conditio sine qua non, almeno dal punto di vista economico, perché meno coinvolgimento, significa meno produttività, maggiore sostituzione di personale e meno competitività sul mercato. Ma, a quanto pare la “cecità” non ha limiti.

La Generazione Z ritiene il lavoro un mezzo e non un fine. Il 92% reputa importante la crescita professionale.

Il valore che viene dato alla retribuzione dipende dalla “visione” della generazione coinvolta. Il 99,5% dei baby boomers la considera testimonianza di stabilità e status. La Generazione Z, il 91,4%, un mezzo, non un fine. L’aspetto più interessante è che il 92% reputa importante la crescita professionale. Così com’è importante il clima all’interno dell’ambiente di lavoro. I più anziani lo ritengono decisivo. I più giovani sono maggiormente orientati all’inclusione, diversità e partecipazione. Si è, quindi, alla ricerca di qualche forma di senso di appartenenza. La visione che mette al centro “l’essere umano” emersa dalle ricerche obbliga le imprese a rivedere i processi organizzativi per non trovarsi espulse dal mercato. Per quanto siano importanti le visioni valoriali intorno alla categoria “lavoro” e la capacità di adattamento ad esse, è proprio vero, come si diceva una volta, che “è duro e faticoso guadagnarsi l’amaro pane”!

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