Certo è che qualcosa o qualcuno avevano turbato irrimediabilmente l’esistenza dell’infermiere che spariva da Bologna dopo un lite in auto con la madre. Dal quel semaforo di via Roncaglio del giovane si sono perdute le tracce. Tracce che venivano ritrovate a Pieve di Cento, sulle rive del Reno, dove una collega aveva rinvenuto lo zaino poi “sparito” dalla caserma dei carabinieri. Il mistero del telefonino mai periziato.
Migliaro – Da quel maledetto 13 febbraio del 2007 di Giovanni Ghinelli, 33 anni, infermiere, si sono perdute le tracce. L’uomo lavorava in ospedale e, nel tempo libero, si dedicava al basket ed era tifoso del Bologna. Sino ad alcuni mesi prima della scomparsa Giovanni conduceva una vita normale assieme ad una donna, anche lei dipendente sanitaria, con cui aveva deciso di convivere prima di sposarsi.
Poi qualcosa sconvolge la vita dell’infermiere:”… Mio figlio lasciava la sua compagna e tornava in casa nostra – racconta la madre Antonietta Angeloni, 72 anni – l’abuso di alcol e droga l’avevano ridotto male e le sue condizioni di salute peggioravano di giorno in giorno. Ansia e depressione aumentavano il suo disagio mentale e si ostinava a non riferirci i motivi che l’avevano distrutto…”.
Antonietta Angeloni e il marito Giuseppe Ghinelli, 80 anni, pensionato, raccontano che proprio il 13 febbraio 2017, assieme al figlio Giovanni, si sarebbero recati a Bologna in auto. Durante il tragitto scoppiava un’accesa discussione fra madre e figlio. L’autovettura, giunta all’incrocio tra via Roncaglio e via Di Corticella, nel quartiere Arcoveggio, si fermava al semaforo rosso.
Giovanni, approfittando della sosta, scendeva repentinamente della vettura e si allontanava urlando che mai più sarebbe ritornato a casa. Nella tarda nottata i genitori ne denunciavano la scomparsa in Questura. Qualche giorno dopo sulle rive del Reno, località Pieve di Cento, una collega di Giovanni ritrovava lo zaino ed i suoi effetti personali.
La sparizione di Ghinelli avveniva sotto Carnevale e, proprio a Cento, località famosa per i festeggiamenti a Re Burlone, la stessa collega dello scomparso riferiva che Giovanni era atteso in zona per una festa ma nessuno l’aveva visto. La donna consegnava lo zaino ai carabinieri della locale stazione che qualche giorno dopo diranno ai genitori di Giovanni di non averlo più trovato negli armadi della caserma.
Per lo “smarrimento” dell’importante reperto pagherà il comandante di stazione, trasferito altrove a seguito della denuncia sporta dai genitori dell’uomo scomparso:”…La perdita dello zaino segnerà in modo nefasto l’intera vicenda – aggiunge l’avvocato Barbara Iannuccelli, legale della famiglia Ghinelli dal 2018 – perché il suo contenuto poteva essere interessante al fine di rintracciare il giovane sparito come un fantasma. Due mesi dopo il cellulare di Giovanni ritornava raggiungibile e la polizia lo radiolocalizzava nella mani del figlio della collega di Giovanni che aveva consegnato lo zaino ai carabinieri. Il ragazzo dirà di averlo acceso e di averne sostituito la Sim ma il codice Imei, puntualmente, inviava le informazioni agli investigatori. Ebbene nessuna indagine ulteriore verrà effettuata sul telefonino…”.
Qualche giorno dopo nel telefono di Giuseppe Ghinelli giungerà una telefonata da parte di una persona con spiccato accento siciliano:”…Avete acceso i lumini? – dirà lo sconosciuto al padre di Giovanni che riferirà dell’accaduto alla polizia. Il numero di telefono veniva prima attribuito ad un contadino piemontese, poi ad un centralino di Manduria, in provincia di Taranto, che serviva diverse utenze le quali sfruttavano il sistema per rimanere anonime.
Nel 2018 i genitori di Giovanni ricevevano una notifica da parte della Polizia di Stato che li avvisava dell’esecuzione di accertamenti tecnici irripetibili sui reperti di Giovanni Ghinelli. Non si sarebbe trattato altro che dell’inserimento del Dna della mamma di Giovanni nel data base nazionale, istituito per legge nel 2009 ma diventato operativo solo nel 2017:
”…Ad oggi nessun elemento utile è stato individuato per richiedere l’apertura del caso – aggiunge la penalista – ma i genitori ed io continuiamo a fare appelli. E non crediamo alla tesi del suicidio che in molti si ostinavano a ipotizzare. Nel 2007 a Cento si festeggiava il Carnevale e in quella zona venivano rinvenuti zaino, effetti personali e cellulare. Lì bisognava insistere con le indagini e questo non è stato fatto…”.
Più verosimile l’ipotesi dell’omicidio quando si parla di pusher, stupefacenti e scommesse. Giovanni si sarebbe fatto risucchiare da quel vortice malevolo e senza uscita dove basta uno sgarro per rimetterci la vita. Per poi accendere i lumini…