Smart working tra favorevoli e contrari, ma uno studio lo promuove a pieni voti

Secondo la Stanford University della California il lavoro ibrido manifesta tutta la sua efficacia: sono diminuite le dimissioni volontarie.

Roma – Il lavoro a distanza è produttivo oppure no? Negli ultimi tempi il dibattito sul lavoro a distanza (smart working) si è molto vivacizzato, al punto che si è creata una sorta di polarizzazione tra favorevoli e contrari. Il focus è se danneggia la produttività e il gradimento dei lavoratori. I manager sperano che i lavoratori tornino in azienda, perché la distanza diminuisce la produttività e nel lungo periodo depaupera la cultura aziendale. Secondo un recente studio del dipartimento di economia della Stanford University, California, il lavoro ibrido, al contrario, manifesta tutta la sua efficacia. Oggetto dello studio sono stati i lavoratori di un’azienda tecnologica cinese. Ebbene, lavorare da casa per due giorni ha diminuito, rispetto a coloro che stavano sempre in ufficio, la percentuale di dimissioni volontarie e si è registrato un alto grado di soddisfazione dei lavoratori.

Secondo gli autori della ricerca, a portare benefici alla produttività è stato proprio il lavoro ibrido. L’indagine non ha riguardato i soli lavoratori a distanza e nemmeno quelli che hanno pattuito con l’azienda orari e luogo di lavoro. Inoltre, alla fine della ricerca, il management ha mutato il paradigma culturale relativo al lavoro ibrido. Infatti, si sono persuasi che la flessibilità casa/ufficio potesse incrementare la produttività dell’1%, mentre prima erano convinti che essa calasse del 2,6%. Per la cronaca, in economia per produttività del lavoro si intende la quantità di lavoro che può essere eseguita in un determinato lasso di tempo da un dipendente. Il termine riguarda un singolo individuo, ma si riferisce anche a un team o a un’intera organizzazione. È una degli indicatori più importanti per misurare l’efficacia del personale.

Lo studio di cui sopra è uno degli effetti del dibattito scatenatosi sullo smart working, la cultura aziendale, la produttività dei lavoratori, l’impatto sull’innovazione e sulla sinergia tra i vari dipartimenti aziendali. Il dipartimento di economia della Stanford University si occupa di lavoro ibrido da oltre un decennio. L’anno scorso stilò un report secondo cui il lavoro totalmente a distanza provoca una produttività un po’ più bassa di quello in azienda. Però, già allora si era sottolineato che il lavoro ibrido può, invece, portare risultati positivi per la produttività. In precedenza era stato effettuato uno studio su un call center. I dipendenti che stavano in azienda un solo giorno la settimana avevano una produttività maggiore del 13% nei confronti chi lavorava solamente in ufficio. La ricerca più recente ha riguardato vari settori economici: marketing, ingegneria del software, finanza e contabilità, perché considerati innovativi e creativi. Il motivo di tale scelta è dovuto ai timori degli studi precedenti relativi a settori merceologici i cui lavoratori avevano mansioni standardizzate e routinarie, con performances più misurabili.

La conclusione finale della ricerca è stata che il lavoro a distanza ha aspetti positivi e negativi. Col lavoro ibrido, però, si ristabilisce un rapporto di equilibrio, per cui i due aspetti finiscono per annullarsi. Ora, qualsiasi tipo di studio riguardante la scienza sociale ed economica va preso con le pinze, quindi con molta cautela. I dati sono tendenziali e quindi vanno considerati indicativi di un processo in divenire. Uno studio simile può essere fatto mesi dopo e sconfessarne i risultati. Se si lavora in un ambiente sereno, è chiaro che si lavora meglio e si rende di più. Non ci volevano certi gli scienziati sociali per arrivare a simili conclusioni. I nostri nonni contadini dicevano “la testa non vuole…pensieri”, intese come preoccupazioni. Forse qualcuno era laureato in “Sociologia bucolica” all’Università della Terra. Chissà!

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