Siamo il fanale di coda nel lavoro femminile

Qualche progresso c’è ma è poca cosa: le donne rimangono discriminate nel mondo del lavoro. Qualcuna in più si trova nei consigli di amministrazione ma è una goccia nel mare.

Il solito refrain: l’Italia ultima in Europa per l’occupazione femminile. Ormai ci si è fatto il “callo” di fronte alle classifiche che inseriscono il Bel Paese all’ultimo posto, o giù di lì, in Europa, al punto di darlo per scontato. Dunque il report “Empowerment femminile come leva strategica per la crescita aziendale e l’innovazione”, presentato il 30 giugno scorso a cura di Deloitte (Organizzazione mondiale di servizi professionali), Women Italy (l’Ente dell’ONU per l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile) e Winning Women Institute (una società che offre alle aziende servizi per la parità di genere) non ha suscitato sorprese di sorta.

I dati nudi e crudi: in Italia è occupata 1 donna su 2, pari al 52,5%, ossia siamo l’ultima ruota del carro tra i 27 Paesi dell’Unione Europea (UE), dove la percentuale è del 70%. Un dato in contrasto con l’occupazione maschile che raggiunge oltre il 70%, a smentire i toni trionfalistici del governo sull’occupazione. Uno dei fattori che influenza l’occupazione femminile è il lavoro di cura familiare, che rispetto ai Paesi dell’UE è spesso e solo sulle spalle delle donne.

Persino l’Intelligenza Artificiale (IA) sembra avere una sorta di repulsione per loro. Infatti la rivoluzione del mercato del lavoro che è in divenire, pare non aver mutato il paradigma. Ossia, ad essere escluse dal processo saranno le donne. Le partecipazioni femminili alle carriere scientifiche e tecnologiche sono in percentuali molto basse. Le prospettive sono poco incoraggianti per il sesso femminile, visto il contesto siffatto, l’IA non potrà che assorbire ed estendere le disparità di genere. Al contrario, come ha rivelato il rapporto, l’uguaglianza e l’inclusione, grazie all’IA potranno offrire grandi possibilità.

Come confermano i WEPs (Women’s Empowerment Principles), i 7 principi stabiliti dal Global Compact delle Nazioni Unite e UN Women per guidare le aziende a promuovere la parità di genere e l’emancipazione femminile nel mondo del lavoro, nel mercato e nella comunità. In dettaglio i magnifici 7 sono: mantenere una leadership aziendale di alto livello; trattare donne e uomini equamente sul lavoro; garantire la salute, la sicurezza e il benessere; promuovere l’educazione, la formazione e lo sviluppo professionale femminile; garantire lo sviluppo delle imprese, la catena di fornitura e le pratiche commerciali; promuovere l’equità; misurare e riferire tutti i progressi. Sembra l’elenco delle buone intenzioni, ma la realtà ci racconta altro, purtroppo.

La disparità di genere è ancora molto marcata

Ossia, solo il 22,2% delle imprese sono gestire da donne, così come il 14,26% delle startup è diretto da loro. A conferma che le resistenze sono consolidate e invalicabili. Un’inversione di tendenza è rappresentata dalla presenza femminile nei consigli di amministrazione delle aziende quotate in borsa, fissata per legge al 40%. La quota è arrivata al 43% dimostrando un aspetto virtuoso inimmaginabile fino a qualche decennio fa. Ma, in generale, le donne trovano molti ostacoli nella carriera, infatti le posizioni apicali sono, nella stragrande maggioranza, occupate dagli uomini.

Un cambiamento può essere possibile se si instaura una vera cooperazione tra pubblico e privato. Il punto cruciale è, tuttavia, l’aumento dell’occupazione femminile, perché con la sua assenza si perde molto in termini di crescita economica e di competitività, in un mercato globale molto insidioso.