Nonostante un referendum abbia bocciato il ritorno alle centrali atomiche il ricorso al nucleare di nuova generazione sembra inevitabile. Bisognerebbe saperne di più su costi e rischi.
Il nucleare continua a sedurre il governo. Ma allora è proprio una fissazione che riemerge dopo un periodo di stanca! Malgrado due referendum, nel 1987 e nel 2011, abbiano, con una maggioranza bulgara, dato esito contrario al nucleare, ogni tanto i governi rilanciano l’idea di un suo ripristino perché è forte la pressione delle lobby. E poi ci si riempie la bocca per il rispetto della volontà popolare. I cittadini hanno negato il ritorno al nucleare dunque che venga rispettato l’esito dei referendum, senza lanciare, di tanto in tanto, la palla al centro del campo per vedere l’effetto che fa!
L’ultimo rilancio c’è stato durante il “Meeting per l’amicizia fra i popoli” tenutosi alla Fiera di Rimini dal 22 al 27 agosto, organizzato dalla Fondazione Meeting per l’Amicizia fra i Popoli (ETS), un’associazione legata al movimento Comunione e Liberazione. Secondo il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, infatti, bisogna inserire nella politica energetica nazionale anche il nucleare. A maggior ragione col probabile aumento della domanda di energia elettrica che nei prossimi 15-20 anni raddoppierà.
Il governo, grazie ad una legge delega, ha intenzione di mettere al centro della propria agenda il nucleare di ultima generazione molto più sicuro rispetto al precedente, si dice. Inoltre si punta alla creazione di nuovi posti di lavoro. Tuttavia le informazioni su costi e scorie lasciano fondati dubbi. Secondo il ministro l’Italia non riesce a soddisfare il fabbisogno nazionale di energia elettrica ed è costretto ad importarla dalla Francia dove vige il nucleare. Con la tecnologia, i data center e l’Intelligenza Artificiale (IA) la richiesta nei prossimi anni potrebbe essere molto superiore.

Le energie rinnovabili non sarebbero sufficienti a fa fronte alle richieste, per questo è necessario il nucleare. Le critiche non hanno tardato a palesarsi. In primis i costi di avvio sono sostanziosi e i tempi per la sua esecuzione si presentano indefiniti e lontani, soprattutto nel Bel Paese dove si ripartirebbe da zero perché non ci sono più centrali attive. Al contrario i costi per le rinnovabili sono molto inferiori e senza danni ipotetici. Molti esperti ritengono che almeno fino al 2050 il nucleare costerà di più delle fonti rinnovabili.
L’eolico e il fotovoltaico costeranno sempre meno grazie all’apporto tecnologico e all’energy storage, un sistema che permette di immagazzinare l’energia elettrica prodotta da fonti come il sole e il vento. E quando la produzione è elevata si rende disponibile successivamente, quando la richiesta è maggiore o la fonte rinnovabile non produce. Inoltre le rinnovabili si installano con facilità e costano meno. La loro produzione può essere rapidamente e facilmente aumentata o diminuita per soddisfare la domanda di energia, senza che i costi crescano in modo proporzionale.
Ciò significa che possono adattarsi alle esigenze del mercato, passando da produzioni minori a picchi di domanda molto più alti, mantenendo efficienza e qualità. Pur considerando che la filiera industriale nel nucleare è a ottimi livelli per l’ingegneria, la componentistica e i reattori, sono ancora toppo alti i rischi per quanto riguarda le scorie radioattive. Il nostro Paese ancora non ha ancora identificato un deposito ad hoc per la sicurezza e quindi parlare di nucleare in una situazione così appare pretestuoso e fuori luogo.
Anche perché la sicurezza per le scorie è un fattore essenziale, senza la quale perde valore qualsiasi argomentazione sul tema. Insomma pare proprio che la tragedia di Fukushima in Giappone, dove nel marzo 2011 un potente terremoto e uno tsunami danneggiarono la centrale nucleare, portando ad un rilascio di radiazioni classificate di livello molto elevate, non abbia insegnato nulla!